L’atto di messa in comunione di terreni tra colottizzanti, privo di intenti speculativi, che non comporta pagamento di conguagli in denaro e che risulta funzionalmente connesso con la Convenzione di lottizzazione, in quanto intende rimuovere gli squilibri patrimoniali derivanti dalla sua attuazione, può essere ricondotto nell’ambito di applicazione dell’articolo 20 della legge n. 10/1977, con conseguente applicazione dell’imposta di registro nella misura fissa ed esenzione dalle imposte ipotecaria e catastale. È quanto conclude l’Agenzia delle entrate con la risposta n 326 dell’8 giugno 2022.
L’istante possiede uno dei terreni appartenenti a un’area produttiva che è stata ridimensionata rispetto al Piano regolatore originario. I proprietari dell’intera zona ridotta, hanno costituito un consorzio e intendono procedere all’urbanizzazione e all’edificazione dell’area, rafforzando il vincolo consortile, mediante attribuzione al consorzio stesso del mandato collettivo con rappresentanza finalizzato ai successivi frazionamenti, vendite, distribuzioni di spese e ricavato.
In particolare, gli aderenti hanno ipotizzato di creare un unico lotto comune trasformando la proprietà esclusiva degli attuali terreni (anziché in singoli lotti da formare con difficili redistribuzioni) in titolarità di quote indivise di un unico grande ambito, stabilite con criteri esclusivamente finalizzati a neutralizzare ogni possibile sperequazione conseguente all’operazione, soprattutto quella derivante dalla riduzione dell’area edificabile, subita da alcuni dei colottizzanti nell’interesse di tutti i consorziati per effetto del ridimensionamento della zona produttiva interessata.
Tanto sinteticamente premesso, il contribuente chiede quali siano le conseguenze fiscali della “messa in comunione” di tutti i lotti.
In particolare vuol sapere se l’atto:
- possa essere sottoposto all’imposta di registro in misura fissa ed esentato dalle imposte ipotecarie e catastali in base all’articolo 20 della legge n. 10/1977
- trattandosi di un contratto atipico, senza scopi speculativi e con funzione ripartitoria/distributiva, debba rientrare tra gli atti di cessione a titolo oneroso o permutativi rilevanti ai fini Iva (ex articoli 2 e 11 del Dpr n. 633/1972)
- generi plusvalenze immobiliari tassabili ai sensi degli articoli 67, comma 1, lettera b) e 68 del Tuir.
Dall’accennata conclusione, innanzitutto, si ricava che, in virtù del principio di alternatività Iva/Registro (articolo 40, Dpr n. 131/1986), il secondo dei tre quesiti trova immediatamente risposta. Sul punto, a sostegno della propria opinione l’amministrazione richiama la risoluzione n. 1/2019, nella quale ha chiarito che “il negozio di «redistribuzione», considerata la tipicità causale della fattispecie negoziale, la quale svolge una funzione meramente ripartitoria/distributiva e non una tipica funzione di scambio negoziale” non rientra nel campo di applicazione dell’Iva.
Riguardo, poi, all’imposta di registro dovuta, per la quale l’istante ha chiesto l’applicazione della norma agevolativa contenuta nell’attuale versione della legge Bucalossi (articolo 20, comma 2, legge n. 10/1977), cioè quella risultante dalla modifica apportata dall’articolo 1, comma 88, della legge n. 205/2017, l’agevolazione consistente nel Registro fisso e nell’esenzione dalle imposte ipotecarie e catastali, è applicabile non solo ai provvedimenti, alle convenzioni e agli atti d’obbligo già previsti dal comma 1, ma anche agli atti “preordinati” alla “trasformazione del territorio” recepiti in accordi convenzioni tra privati ed enti pubblici.
A tal proposito, considerata la funzione meramente ripartitoria/distributiva dei trasferimenti, con la stessa risoluzione n. 1/2019 ha ribadito che “gli atti di ridistribuzione, se posti in essere dai soggetti che hanno assunto gli obblighi connessi con l’attuazione della Convenzione di lottizzazione, possono beneficiare del regime di favore di cui all’articolo 32 del DPR n. 601 del 1973“. Ciò, al fine di riequilibrare la capacità edificatoria dei singoli lottizzanti eliminando gli effetti distorsivi derivanti dalla Convenzione di lottizzazione.
Nel caso in esame, in base agli elementi deducibili dall’istanza e dai documenti prodotti, l’Agenzia ritiene che il suddetto atto costitutivo della comunione volontaria tra colottizzanti rientri nell’ambito applicativo dell’agevolazione, in quanto funzionalmente connesso e collegato alla Convenzione, e assimilabile all’ipotesi di redistribuzione di aree tra colottizzanti volta a eliminare gli effetti distorsivi derivanti dalla Convenzione di lottizzazione, senza intenti speculativi.
Con riferimento al terzo e ultimo quesito, infine, l’amministrazione, ripassando gli articoli 67, comma 1, lettera b) e 68, commi 1 e 2, del Tuir, rileva che la messa in comunione dei terreni in un unico lotto fa assumere a ognuno dei proprietari “una quota di comproprietà, su ciascun lotto interessato, nella medesima proporzione a ciascuno spettante in relazione alla superficie di pregressa rispettiva competenza”, senza che sia previsto il pagamento di conguagli in denaro.
L’atto costitutivo della comunione, pertanto, non ha effetti traslativi e né permutativi, in quanto implica una sorta di surrogazione dei diritti già vantati da ogni compartecipe sulla superficie di pregressa rispettiva competenza con la quota di comproprietà su ciascun lotto interessato. Quindi, lo stesso atto non determina l’applicazione dei richiamati articoli del Tuir.
fonte fiscooggi.it