A maggio, dopo il rallentamento di aprile, l’inflazione torna ad accelerare salendo del 6,9%, un livello che non si registrava da marzo 1986 (quando fu pari a +7,0%). L'”inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, accelera da +2,4% a +3,3% e quella al netto dei soli beni energetici da +2,9% a +3,7%. Su base annua, accelerano sia i prezzi dei beni (da +8,7% a +9,7%) sia quelli dei servizi (da +2,1% a +3,1%); rimane stabile, quindi, il differenziale inflazionistico negativo tra questi ultimi e i prezzi dei beni (-6,6 punti percentuali come ad aprile).
L’aumento congiunturale dell’indice generale e+dovuto, per lo più, ai prezzi dei Beni energetici non regolamentati (+3,2%), degli Alimentari lavorati (+1,5%), degli Alimentari non lavorati (+1,1%) e dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+1,2%).
L’inflazione acquisita per il 2022 è pari a +5,7% per l’indice generale e a +2,5% per la componente di fondo. Secondo le stime preliminari, infine, l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca) registra un aumento su base mensile dello 0,9% e del 7,3% su base annua (da +6,3% nel mese precedente).
Vola il cosiddetto ‘carrello della spesa’ a maggio, che si porta a +6,7%, come non accadeva dal marzo 1986 (quando fu +7,2%). Lo rileva l’Istat spiegando che nel mese corrente accelerano i prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona (da +5,7% a +6,7%) e quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +5,8% a +6,7%).
L’accelerazione dell’inflazione su base tendenziale a maggio (+6,9%), dopo il rallentamento di aprile, si deve principalmente agli elevati aumenti dei prezzi dei Beni energetici che “continuano a essere il traino dell’inflazione (con quelli dei non regolamentati in accelerazione) e le loro conseguenze si propagano sempre più agli altri comparti merceologici, i cui accresciuti costi di produzione si riverberano sulla fase finale della commercializzazione”.
Nel dettaglio, l’inflazione corre per l’aumento dei prezzi dei Beni energetici (la cui crescita passa da +39,5% di aprile a +42,2%) e in particolare degli Energetici non regolamentati (da +29,8% a +32,4%; la crescita dei prezzi degli Energetici regolamentati è stabile a +64,3%), dei Beni alimentari (da +6,1% a +7,1%), soprattutto dei Beni alimentari lavorati (da +5,0% a +6,8%), dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +2,4% a +4,4%) e dei Servizi relativi ai trasporti (da +5,1% a +6,0%).
L’inflazione dell’Eurozona vola all’8,1%
L’inflazione annua dell’area dell’euro dovrebbe essere dell’8,1% a maggio, in aumento rispetto al 7,4% di aprile, secondo una stima flash dell’Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea. Considerando le principali componenti dell’inflazione nell’area dell’euro, l’energia dovrebbe avere il tasso annuo più elevato a maggio (39,2%, rispetto al 37,5% di aprile), seguita da cibo, alcol e tabacco (7,5%, rispetto al 6,3% di aprile), dai beni industriali non energetici (4,2%, contro il 3,8% di aprile) e dei servizi (3,5%, contro il 3,3% di aprile). Il dato italiano è al 5,8%.
L’unica soluzione: aumentare gli stipendi
“Ci solo oltre 10 milioni di lavoratrici e lavoratori italiani che aspettano i rinnovi dei loro contratti nazionali e questi rinnovi non possono aspettare anche rispetto a quella che è una rispettabilissima previsione o valutazione dello stesso governatore Visco” ha detto il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, “L’inflazione in Italia ad aprile era il 6,3% nell’area euro era al 7,4% e noi paghiamo una tassa occulta di 110 miliardi di euro su 1.760 miliardi di risparmi depositati nei conti correnti e i primi a pagarne le conseguenze, in termini di perdita di potere d’acquisto, sono proprio quei lavoratori dipendenti che non hanno i loro contratti nazionali e hanno i loro stipendi fermi da anni. Quindi, mettere in relazione l’aumento dei prezzi con un rinvio dei rinnovi dei contratti nazionali magari garantendo loro, a chi lavora soltanto una tantum, io la vedo abbastanza dura. Come organizzazioni sindacali noi vogliamo rinnovare i contratti nazionali che possono mettere a riparo gli stipendi proprio rispetto all’inflazione”.
“I dipendenti pubblici come i privati hanno assoluta necessità di rinnovare i loro contratti. È chiaro che, mentre le aziende private, a iniziare dalle banche, possono agganciare i loro aumenti di stipendio a una produttività e al raggiungimento di determinati risultati, credo che questa situazione possa essere valutata dalle organizzazioni sindacali dei dipendenti pubblici perché il mondo è cambiato, il mondo sta andando avanti e quindi dei cambiamenti rispetto alla produttività e alla redditività di certi settori vanno considerate. Gli aumenti non possono più riguardare soltanto l’aumento dell’inflazione e deve essere un po’ ristrutturata la concezione stessa intellettuale e contrattuale di come vengono rinnovati i contratti perché non si possono rinnovare i contratti partendo dal presupposto che va recuperata solo l’inflazione”, ha aggiunto Sileoni.
fonte agi.it