Esattamente il 30 giugno di un anno fa Enel e Crea, il più grande ente di ricerca dedicato all’agroalimentare, siglarono un protocollo d’intesa per promuovere ricerca, sperimentazione e attività pilota su soluzioni per favorire la sinergia tra energie rinnovabili e agricoltura, ponendo così al centro la sostenibilità, la necessità di sviluppo di nuova capacità fotovoltaica in Italia, i bisogni specifici dei territori e quelli del mondo imprenditoriale del settore.
A partire dal comune impegno per la sostenibilità dei rispettivi settori l’Ente e l’Azienda hanno condiviso l’opportunità di un’azione congiunta per elaborare scenari e strategie finalizzate a favorire la compresenza di attività agricole e impianti di produzione di energia con tecnologia solare fotovoltaica a terra, il cosiddetto “agrivoltaico”, una tecnologia che consente la continuità della produzione agricola ed evita il consumo di suolo.
Cos’è l’agrivoltaico
Dal punto di vista scientifico per agrivoltaico s’intende infatti una sinergia tra fotovoltaico e agricoltura, in cui via sia uno studio dell’ottimizzazione delle singole funzioni affinché la produzione energetica e quella agricola possano convivere. Anche al fine di sostenere imprese e famiglie alle prese con i rincari di energia elettrica e gas e accelerare la transizione del nostro Paese verso un modello energetico più sostenibile che ci renda autonomi rispetto alle fonti energetiche russe.
Ancora nel 1980 il governo italiano era impegnato a discutere su come rendere più autonoma la produzione energetica delle aziende agricole individuando nella produzione di energia rinnovabile fotovoltaica una delle soluzioni da incentivare. La prima pubblicazione che descrive in linea teorica l’agrivoltaico viene fatta risalire al 1981 e porta il titolo di “patate sotto ai pannelli”, ma tuttavia l’alto costo della tecnologia fotovoltaica ha consentìto di predisporre prototipi ed impianti agrivoltaici sperimentali solo successivamente agli anni 2000.
Ad ogni modo, in un periodo in cui la discussione sulla svolta energetica si fa sempre più pressante per l’Italia, al fine anche di spezzare il giogo dal gas russo, si fa altresì sempre più insistente anche la necessità di potenziare il settore delle rinnovabili.
In questo contesto, una svolta importante è legata all’agrivoltaico, noto anche come agri-solare. Per esempio, nel Piano nazionale di ripresa e resilienza è stato calcolato che il suolo agricolo da destinare all’istallazione di impianti fotovoltaici costituirebbe meno del 2% della superficie agricola italiana non utilizzata.
Ma secondo le stime di Legambiente, Greenpeace, Italia solare e Wwf, per raggiungere gli obiettivi di sviluppo del Green Deal occorrono 80 gigawatt di installazioni totali. In ambito agricolo, andrebbero sfruttati circa 50-70.000 ettari di terreni, pari allo 0,4-0,6% della superficie agricola utile.
Il problema del consumo di suolo
Nonostante si tratti di cifre ridotte, per l’agrivoltaico alcuni agricoltori e associazioni di categoria nei mesi scorsi hanno sollevato perplessità richiamandosi, tra le altre cose, alla questione del consumo di suolo. “Quando sono le multinazionali, in particolare degli idrocarburi, a chiedere questi impianti, consentitemi di essere attento a cosa entra nel mio territorio” ha dichiarato di recente Carlo Salvan, vicepresidente di Coldiretti Veneto.
Lo scorso 23 febbraio il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani, nel riferire al Parlamento in merito alla strategia energetica dell’Italia, ha sostenuto: “Non vorrei semplificare troppo, ma noi dobbiamo aiutare la nostra filiera agrofood a essere energicamente autonoma. Quindi dobbiamo mettere in campo tutto ciò che possiamo: i tetti, i capannoni e così via. E in più dobbiamo favorire l’agrivoltaico. Ci sono tre possibilità: mettere i pannelli a terra occupando terreno agricolo, e per noi questa strada non va bene perché dobbiamo evitare le speculazioni; l’altro modello di agrivoltaico è quello alto, dove sotto i pannelli passa l’uomo, adatto soprattutto ai vigneti, e in questo caso abbiamo concordato con Confagricoltura e Coldiretti che non più del 10% del terreno di un’impresa agricola può essere utilizzato per mettere il fotovoltaico; e poi c’è il terzo modello, quello più tecnologico, con strutture molto alte dove sotto ci passano pure i trattori e i pannelli hanno strutture wireless e regolabili. In quest’ultimo caso la speculazione non converrebbe, perché si tratta di impianti molto costosi”.
La posizione degli agricoltori
E il mondo agricolo come reagisce? Non è un mistero, per esempio, la contrarietà al fotovoltaico del presidente di Coldiretti Ettore Prandini, pur convinto che il futuro sia l’agricoltura sostenibile: “La terra non è un bene replicabile; occuparla con i pannelli fotovoltaici equivale a cancellare il cibo del nostro territorio dalle tavole degli italiani” è il suo pensiero originario, ma di recente la Coldiretti si è spesa per suggerire un proprio emendamento migliorativo di un comma del Decreto legge n. 17 relativo alle misure per il contenimento del gas e dell’energia elettrica.
All’articolo 11 si parla anche di fotovoltaico e, in particolare, il decreto prevedeva che le aziende agricole interessate a impiantare panelli, potessero ricevere i relativi incentivi statali a patto che la superficie aziendale coinvolta non eccedesse il 10 per cento del totale. La norma, però, non distingueva tra fotovoltaico tradizionale e agrivoltaico (con pannelli ad una altezza tale da permettere il passaggio dei mezzi agricoli o capaci di ruotare per inseguire il sole). Ma al tempo stesso non vieta la costruzione di impianti solari anche su superfici superiori al 10 per cento, ma rende economicamente convenienti, grazie agli incentivi, solo quelli che restino entro tale limite.
Secondo un’opinione diffusa in questo modo si scoraggiano le piccole aziende agricole, quelle con pochi ettari o poche decine di ettari, perché se si hanno dieci ettari totali e si possono mettere pannelli solo su un ettaro non si troverà nessuna azienda pronta a investirci, in quanto ci sono costi fissi che si possono abbattere solo con una economia di scala.
Ma adesso c’è chi sottolinea che la norma varata il primo marzo – e che va sotto il nome di “emendamento Coldiretti” – è in verità un grosso passo avanti da parte dell’associazione che raccoglie sotto la propria ala gran parte del mondo agricolo: ovvero, dal no irremovibile al sì, ma solo sul 10% dei terreni aziendali. E anche Legambiente sembra aver ammorbidito le proprie posizioni, tant’è che proprio l’agrivoltaico è stato il tema scelto dall’associazione ambientalista nel mese di aprile per una campagna ad hoc.
Per Legambiente, dunque, l’agrivoltaico “permette di introdurre la produzione di energia da solare fotovoltaico nelle aziende agricole, integrandola con quella delle colture e con l’allevamento: i pannelli fotovoltaici, che possono essere anche ‘mobili’ a inseguimento solare, sono posizionati nei campi con altezze e secondo geometrie che consentono le lavorazioni agricole e il pascolo. È una forma di convivenza particolarmente interessante per la decarbonizzazione del nostro sistema energetico, ma anche per la sostenibilità del sistema agricolo e la redditività a lungo termine delle aziende del settore, che devono essere protagoniste di questa rivoluzione. O per stimolare il recupero di terreni agricoli abbandonati”, è diventata la posizione ufficiale.
Quindi “conciliare agricoltura, produzione di energia e sostenibilità ambientale è, dunque, possibile: con l’agrivoltaico, la resa agricola è garantita e l’energia prodotta senza consumo di suolo ed emissioni inquinanti in atmosfera. Per consentirne lo sviluppo va, però, colmato il vuoto legislativo esistente, vanno definite linee guida e scongiurati alcuni preconcetti che potrebbero rallentarne lo sviluppo”, si legge in una nota ufficiale del 6 aprile sul sito dell’associazione.
Del resto, se la matematica non è un’opinione, i calcoli in bolletta parlano chiaro: un impianto fotovoltaico domestico permette un risparmio in media di 1500 euro all’anno sulle bollette rispetto al prelievo di energia elettrica dalla rete, sostiene uno studio di Solar Index Italy sul mercato fotovoltaico italiano realizzato da Otovo, una società norvegese attiva nell’installazione di pannelli per le famiglie.
L’indagine è stata condotta su un campione di 10 mila persone residenti in comuni distribuiti tra Nord, Centro, Sud e Isole: Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari e Palermo. E se così va nelle case, in agricoltura potrebbe rendere anche di più.
fonte agi.it