L’amministrazione finanziaria può agire contro gli ex soci di una società estinta anche se non hanno percepito utili in sede di liquidazione dell’ente. Infatti, la possibilità di sopravvenienze attive o l’esistenza di diritti non contemplati nel bilancio finale giustificano l’interesse dell’agenzia delle entrate a procurarsi un titolo in considerazione della natura dinamica dello stesso interesse.
Lo ha affermato la Cassazione con l’ordinanza n. 10678 del 4 aprile 2022, con cui ha respinto il ricorso di due ex soci di una società.
La vicenda processuale e la pronuncia della Cassazione
La suprema Corte ha confermato, dunque, il verdetto dei gradi di merito: infatti, sia la Ctp che la Ctr Veneto avevano statuito la legittimità degli avvisi di accertamento emessi nei confronti dei due soci.
Il provvedimento è stato, quindi, impugnato in Cassazione, dove uno dei soci ha denunciato violazione e falsa applicazione degli articoli 2495 cc, 42 del Dpr n. 600/1973 e 56 del Dpr n. 633/1972, sostenendo che non era stata effettuata alcuna distribuzione di utili in sede di liquidazione della società e che, pertanto, non poteva rispondere dei maggiori tributi accertati in capo all’ente. L’altro socio, che aveva operato come liquidatore dell’ente, ha sostenuto che non gli era stato contestato nulla in merito al suo operato e che, quindi, non poteva essere chiamato a rispondere.
La Cassazione, nel respingere entrambe le domande, ha ricordato, che la cancellazione delle società di capitali dal registro delle imprese determina l’immediata estinzione della società, indipendentemente dall’esaurimento dei rapporti giuridici a essa facenti capo. Il liquidatore, pertanto, in questo caso, cessa dalla carica e non ha più la legittimazione processuale della società. Allo stesso modo, l’ex socio che non ha riscosso utili in sede di liquidazione non è tenuto a pagare i debiti dell’ente.
Tuttavia, la circostanza che i soci abbiano goduto o meno di un qualche riparto, non è dirimente ai fini dell’interesse ad agire del fisco creditore. Si può porre il caso, infatti, di diritti e beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, i quali pur sempre si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con la sola esclusione delle mere pretese.
In sostanza, ha concluso la Cassazione, la possibilità di sopravvenienze attive o anche semplicemente la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio non consentono di escludere l’interesse dell’Agenzia a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, in considerazione della natura dinamica dell’interesse ad agire, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti (cfr Cassazione. sezioni unite nn. 619/2021, 29117/2018 e 9672/2018).
Inevitabile la condanna dei contribuenti al pagamento delle spese.
Ulteriori osservazioni
La legittimazione ad agire o a essere convenuti dei soci non è subordinata alla percezione o meno dell’attivo di liquidazione. Questo aspetto rappresenta, semmai, il limite della responsabilità dei soci.
L’interesse dell’Erario ad agire nei confronti dei soci di una società estinta ha natura dinamica, e i soci succedono nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata anche se non abbiano goduto di alcun riparto in base al bilancio finale di liquidazione.
Ormai, in sede di legittimità, si sta consolidando questo orientamento: non è dirimente, ai fini dell’esclusione dell’interesse ad agire dell’ufficio, che i soci abbiano goduto, o no, di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione (cfr Cassazione nn. 9672/2018, 9094/17 e 15035/2017). La possibilità di sopravvenienze attive o anche semplicemente la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio non consente di escludere l’interesse dell’Agenzia delle Entrate a procurarsi un titolo nei confronti dei soci. Non si può dubitare neppure “della sussistenza in capo all’ex socio della legittimazione attiva, pur in caso di incertezza o attuale mancanza di attivo e, conseguentemente, del relativo riparto, essa discendendo dalla qualità di successore che, per le esposte considerazioni, occorre riconoscere al socio anche in tale contesto”.
Non può essere condiviso l’opposto indirizzo espresso dalla Cassazione con la pronuncia n. 23916/2016 e più di recente con la n. 2444/2017, in quanto esso, come ha già rilevato la Corte suprema nella sentenza n. 9094/2017, non può ritenersi in linea con i principi affermati dalle sezioni unite (nn. 6070 e 6072 del 2013), che individuano sempre nei soci coloro che sono destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata, ma non definitivi all’esito della liquidazione, indipendentemente, dunque, dalla circostanza che essi abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione.
È del tutto irrilevante ai fini di tale legittimazione (attiva o passiva) che il socio abbia percepito attivo in sede di liquidazione, rappresentando quest’ultimo solo il limite della responsabilità del socio per i debiti della società estinta.
Secondo la tesi minoritaria, invece, il meccanismo successorio è limitato all’ipotesi in cui gli ex soci abbiano goduto di un qualche riparto all’esito della liquidazione. Secondo tale interpretazione, gli ex soci subentrano dal lato passivo solo se e nei limiti di quanto riscosso al termine della liquidazione; pertanto, l’accertamento di tali circostanze è il presupposto dell’assunzione della qualità di successori e della legittimazione passiva ai fini della prosecuzione del processo (cfr Cassazione n. 2444/2017).
Di conseguenza sono, ad esempio, inammissibili l’appello o il ricorso in Cassazione proposti dall’amministrazione finanziaria nei confronti degli ex soci di una società medio tempore estinta senza alcuna ripartizione dell’attivo. Il creditore che voglia agire nei confronti dell’ex socio, che abbia ricevuto una qualche riparto, è tenuto a dimostrare che vi sia stata distribuzione dell’attivo e che tale attivo sia stato riscosso.
fonte fiscooggi.it