Con sentenza n. 73/02/21, la Commissione tributaria provinciale di Prato ha confermato l’accertamento effettuato a carico di un consorzio, ammettendo trattarsi di ente formalmente esercente attività di esternalizzazione di manodopera, e che invece costituiva il vertice di un complesso sistema di evanescenti cooperative, ideate e manovrate al fine di ottenere vantaggi fiscali.
Il consorzio, infatti, prendeva in appalto i servizi (da clienti operanti prevalentemente nella regione Toscana) per poi affidarli in subappalto a varie cooperative (consorziate e non), che, in realtà, fungevano da meri serbatoi di personale, funzionali all’assunzione di lavoratori da mettere a disposizione dei committenti finali, per il tramite del consorzio stesso.
Invano il ricorrente si dichiarava all’oscuro della fittizietà delle cooperative, sussistevano infatti – come appurato dai giudici – molteplici indizi di inesistenza “comuni alle cooperative emittenti le fatture”: la sede (presso civili abitazioni di una città campana, sebbene le prestazioni fatturate fossero svolte per lo più nel centro Italia); la formale intestazione a prestanome nullatenenti (mentre la gestione era diretta dagli amministratori di fatto del consorzio); il ciclo di vita breve (durante il quale erano assunti un gran numero di dipendenti); l’omissione delle dichiarazioni fiscali; il mancato versamento delle imposte e degli oneri previdenziali; la carenza di personale tecnicamente preparato per lo svolgimento dell’attività lavorativa appaltata (prevalentemente, lavoratori stranieri privi di requisiti professionali); il layout sempre clamorosamente identico in tutte le fatture.
Al cospetto di tali elementi, la Ctp ha concluso che il consorzio non poteva non sapere: “gli indizi utilizzati dall’ufficio risultano … fondati su fatti situati nella sfera di conoscibilità del contribuente”, il quale avrebbe dovuto “dimostrare di aver agito attuando gli accorgimenti necessari volti a verificare che il proprio fornitore è il soggetto realmente intervenuto nell’operazione”.
La sentenza costituisce un utile precedente sulla spinosa questione del fittizio appalto di personale, destinato a consentire, a soggetti costituiti come consorzi – che si avvalgono di forza lavoro in violazione di tutti i vincoli giuslavoristici derivanti dall’assunzione diretta di manodopera – la detrazione dell’Iva sulle fatture emesse da enti privi di consistenza imprenditoriale (le cooperative), che omettono il versamento d’imposte, contributi previdenziali e ritenute su lavoro dipendente, contraendo altresì il costo del personale.
La pronuncia deve essere segnalata anche per un ulteriore profilo: la Ctp non si è conformata alla richiesta di archiviazione formulata dal giudice penale nei riguardi dei contribuenti coinvolti nella frode e ha pervicacemente confermato il recupero, non soltanto in virtù del consueto doppio binario tra giudizio penale e tributario, ma sottolineando che “dall’esame del decreto emesso dal GIP… si rileva che la motivazione si fonda sulla mera valutazione delle tesi difensive del legale rappresentante del Consorzio … , contenute nella memoria difensiva che lo stesso ha depositato … ; non risulta dagli atti alcun approfondimento sui fatti dedotti in questa sede, ma il PM , e quindi il GIP, si sono soffermati sulla regolarità formale delle operazioni che, come da dato esperienziale, costituisce sovente elemento connaturato alla frode”.
Esemplare come la Ctp non si sia lasciata sviare dalla pronuncia penale, ma ne abbia analizzato il contenuto, appurandone l’inidoneità a delegittimare il recupero fiscale; in questa stessa prospettiva, già con sentenza n. 146/02/21 la Commissione pratese aveva evidenziato che “il decreto di archiviazione del procedimento penale non può venie in rilievo come ostacolo all’azione dell’ufficio, che ne risulta pertanto totalmente svincolata”.
fonte fiscooggi.it