Le tavole statistiche pubblicate di recente sul sito del dipartimento delle Finanze del Mef, con le analisi e le elaborazioni dei dati contenuti nelle dichiarazioni dei redditi presentate nel 2021, anno d’imposta 2020, confermano che lo strumento della “cedolare secca”, in origine introdotto per favorire l’emersione degli affitti in nero, funziona.
I numeri continuano a essere incoraggianti. In totale, sono infatti 2.638.243 i contribuenti che nel 2020 hanno optato per il regime della cedolare secca. Un numero in crescita rispetto al 2019, sia pur moderata, anche perché nel pieno dell’insorgere dell’emergenza pandemica. Lo stesso vale per il gettito complessivo, che il Mef fissa in 3.019.244 miliardi di euro. Dunque, la somma pro-capite media versata dai contribuenti interessati è stata di circa 1.140 euro. Naturalmente, vi sono delle differenze piuttosto significative a seconda della natura dell’immobile affittato e del numero delle abitazioni locate.
Cedolare secca a tre vie, 21%, 10% e 21% per affitti brevi
I dati complessivi, sono in realtà la somma di tre differenti opzioni tutte correlate all’applicazione della cedolare secca ma distinte per la durata della locazione, cosiddetti affitti brevi, la cui aliquota è al 21%, oppure, per la tipologia contrattuale utilizzata, in base alla quale scatta l’aliquota al 10% sui redditi derivanti da contratti di locazione a canone concordato o, in alternativa, il 21% per quelli a canone libero. Nel prossimo paragrafo riporteremo tale disaggregato a tre vie per numeri.
Affitti brevi o lunghi, non fa differenza, l’imponibile conta
Analizzando le tre differenti opzioni offerte dal kit della cedolare secca, si nota subito come l’applicazione dell’aliquota al 21% sugli affitti “brevi”, non oltre i 30 giorni, scelta da più di 14mila cittadini ha inciso su un imponibile di oltre 66 milioni di euro, un valore residuo in termini assoluti. Al contrario, con 1.886.974 contribuenti che l’anno scelta, la cedolare secca al 21% sulle somme derivanti dai contratti di locazione a canone libero è stata applicata su ben 11.587,683 miliardi di euro di imponibile. In pratica il valore maggiore. Infatti, la cedolare secca sui contratti d’affitto a canone concordato, con aliquota al 10%, ha visto emergere un imponibile di 5,7 miliardi di euro, nettamente inferiore agli 11 miliardi della cedolare secca al 21%, anche perché scelta da poco più di 923mila contribuenti, in pratica la metà rispetto a chi ha optato per i contratti a canone libero.
Breve storia della cedolare secca
È corretto ricordare che, al fine di incoraggiare l’emersione di base imponibile, il legislatore ha prima introdotto e, poi, progressivamente ampliato l’operatività della cedolare secca sui redditi derivanti dalle locazioni immobiliari. Tale strumento consente di optare per un’imposta sostitutiva ad aliquota unica (flat), in luogo delle ordinarie regole Irpef (con scaglioni e aliquote differenziate). In sostanza, si tratta di un regime agevolato che (ai sensi del decreto legislativo n. 23/2011) permette di applicare ai redditi derivanti da locazione un’imposta sostitutiva del 21%, se rientranti tra i contratti a canone libero, oppure, del 10%, nei casi di contratti di locazione a canone concordato. Chi può optare pe tale regime? Possono optare per il regime della cedolare secca le persone fisiche titolari del diritto di proprietà o del diritto reale di godimento (per esempio, usufrutto), che locano l’immobile al di fuori dell’attività di impresa o di arti e professioni. L’opzione può essere esercitata per unità immobiliari appartenenti alle categorie catastali da A1 a A11 (esclusa l’A10, uffici o studi privati) locate a uso abitativo e per le relative pertinenze. Inoltre, è utile ricordare come il decreto legge n. 50/2017 abbia consentito di optare per la cedolare secca al 21% anche nel caso di redditi derivanti dalle locazioni brevi, ovvero contratti di locazione di immobili a uso abitativo, purché stipulati da persone fisiche al di fuori dell’esercizio d’impresa, direttamente o in presenza di intermediari e anche online e per non più di 30 giorni. Tale norma ha introdotto puntuali obblighi informativi a carico degli intermediari. In particolare, se tali soggetti intervengono anche nella fase del pagamento dei canoni di locazione, sono tenuti ad applicare una ritenuta del 21% all’atto dell’accredito, a titolo di acconto o d’imposta, a seconda che sia stata effettuata o meno l’opzione per la cedolare secca. E ancora, la legge di bilancio 2021 è intervenuta ulteriormente limitando la cedolare secca al 21% sulle locazioni brevi al caso di destinazione di non più di quattro appartamenti per periodo d’imposta, presumendosi altrimenti l’esercizio di impresa ai fini fiscali.
Altri passaggi importanti nel percorso normativo della cedolare secca
Ricordiamo inoltre, come in via temporanea, la legge di bilancio 2019 abbia consentito di utilizzare la cedolare secca per i contratti di locazione di locali commerciali stipulati solo nel 2019, purché tali immobili fossero classificati nella categoria catastale C/1 e avessero determinati limiti di superficie (fino a 600 mq). La legge di bilancio 2020, invece, ha ridotto dal 15 al 10%, a regime, l’aliquota della cedolare secca sui canoni dei contratti di locazione di immobili a uso abitativo a canone concordato, nei comuni ad alta densità abitativa. Il decreto legge n. 162/2019 (di proroga termini) ha esteso tale riduzione ai comuni per i quali sia stato deliberato lo stato di emergenza a seguito del verificarsi di eventi calamitosi, inclusi i comuni colpiti dagli eventi sismici del Centro Italia.
fonte fiscooggi.it