Dopo l’invasione russa dell’Ucraina è partita la corsa dei Paesi europei (e non solo) a sostituire le fonti energetiche provenienti da Mosca. La presidente della commissione Ue Ursula von der Leyen ha annunciato che entro il 2027 finirà la dipendenza energetica dell’Ue nei confronti della Russia. Sono cinque anni e in questo lustro il mondo occidentale dovrà fare i conti con le sanzioni verso Mosca.
Nel 2021 l’Ue ha importato il 45% del gas dalla Russia, con il piano REPower Eu, Bruxelles punta a sostituire il 20% dell’import russo di gas con il biometano (35 miliardi mc entro il 2030) e altre fonti rinnovabili. In generale l’obiettivo è ridurre la dipendenza dal gas russo di due terzi entro la fine di quest’anno, affermano da Bruxelles.
Le politiche comuni
La difficoltà principale per l’Europa sarà quella di armonizzare le politiche (e le dipendenze) energetiche europee che sono allo stato differenti e scollegate le une dalle altre. La Commissione europea si appresta a presentare una proposta di regolamento affinché entro il primo novembre 2022 gli Stati Ue assicurino il riempimento degli stoccaggi almeno al 90% della loro capacità.
A febbraio, maggio, luglio e settembre sono previsti obiettivi intermedi per garantire che il target finale sia rispettato e ci sia tempo per correggere la rotta. Il periodo di riempimento degli stoccaggi è fissato dal primo aprile al 30 settembre. L’impegno si affianca all’acquisto volontario comune di gas per avere prezzi migliori nelle trattative con i venditori oltre al price cap il cui limite potrebbe essere intorno agli 80 euro/Mwh.
Germania
La situazione più critica in Europa, oltre ad alcuni paesi dell’Est, è quella della Germania che nel 2020 importava dalla Russia circa il 65% del gas (dati Iea) pari a 42,6 miliardi di metri cubi, seguita dall’Italia con 29,2 miliardi di mc. L’import è sceso a circa il 55% alla fine del 2021. La dipendenza energetica tedesca nei confronti della Russia è peggiorata dall’11 marzo del 2011, data dell’incidente nella centrale nucleare giapponese di Fukushima.
A seguito dell’evento, Berlino ha deciso di uscire dal nucleare, incrementare l’import di gas dalla Russia con il Nord Stream 2 e puntare forte sull’eolico offshore. A fine anno il paese avrebbe dovuto spegnere le ultime tre centrali nucleari in funzione (erano 8 nel 2011) ma il governo sta seriamente valutando di lasciarle accese.
Intanto Berlino sta cercando fonti alternative. Il ministro dell’economia Robert Habeck, un verde, si è recato in Qatar e negli Emirati Arabi Uniti alla ricerca di nuove forniture di gas da sostituire a quello proveniente dalla Russia. Una cooperazione nel segno del gas liquefatto naturale (Gln), che permetterà alle aziende tedesche di realizzare in tempi brevi i relativi accordi.
L’obiettivo dichiarato è quello di rendere la Germania “più autonoma” dal gas russo. Al tempo stesso il ministro all’Economia (che ha anche la titolarità dell’Ambiente), punta ad accelerare la transizione verso l'”idrogeno verde”. Cinque aziende tedesche hanno già firmato le dichiarazioni d’intenti con le autorità degli Emirati. Tanto che Habeck ha parlato di una “win-win-situation”.
Tuttavia a Berlino il fatto che un ministro verde sia andato in giro per il mondo a caccia di energie fossili non è passato inosservato. Non sono mancate le polemiche con la Frankfurter Allgemeine che annotava che “per l’appunto è il vicecancelliere verde a dover organizzare nuove forniture di energie fossili”.
Belgio
Stessa politica quella del Belgio che a seguito della crisi ucraina ha deciso di estendere di dieci anni la produzione di energia nucleare. “La guerra sta cambiando la nostra visione dell’energia“, ha detto il premier Alexander de Croo aprendo la conferenza stampa in cui ha annunciato che l’attività dei reattori Doel 4 e Thiange 3 verrà estesa per dieci anni.
“In questo modo, l’energia può essere garantita a medio e lungo termine”, ha sottolineato. Il primo ministro ha tuttavia sostenuto anche l’accelerazione della transizione verso le energie rinnovabili. “Questa è l’unica fonte di energia per la quale abbiamo visto il prezzo dell’energia scendere negli ultimi anni”, ha spiegato.
Italia
L’Italia è il secondo Paese, dopo la Germania, maggiormente dipendente dal gas di Mosca. Importa il 38% del gas che consuma pari a circa 29 miliardi di mc. La dipendenza è aumentata negli anni se si pensa che nel 2012 la percentuale era intorno al 30%. La produzione nazionale è scesa ai minimi, circa 3 miliardi di mc ma il governo ha intenzione di aumentarla dai giacimenti in funzione (senza nuove trivellazioni).
L’Italia importa il 95% del gas che consuma (circa 72 mld di mc). Gli altri maggiori fornitori sono l’Algeria (27,8% del totale), l’Azerbaigian (9,5%), la Libia (4%) e Norvegia e Olanda con circa il 3%. Il 13% del fabbisogno arriva invece sotto forma di Gnl prevalentemente dal Qatar.
Da quando è esploso il conflitto in Ucraina il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio è stato con l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi in molti paesi africani e del Medio Oriente proprio per rafforzare la cooperazione energetica e incrementare le forniture.
Le tappe degli ultimi giorni sono state Algeria, Congo, Angola, Qatar e Mozambico. Nel corso della presentazione del piano strategico di Eni, Descalzi ha assicurato 14 trilioni di piedi cubi di gas aggiuntivi nel breve e medio termine (ovvero 400 mld di mc di gas).
Gran Bretagna
C’è poi la Gran Bretagna (la quota delle importazioni sono all’8%) che insieme agli Stati Uniti ha imposto lo stop all’import di greggio russo. Anche il premier britannico, Boris Johnson, si è recato ad Abu Dhabi, e a Riad. Obiettivo del viaggio è convincere Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita a pompare più petrolio per calmare i mercati.
Johnson ha promesso di sollevare questioni relative ai diritti umani con il principe ma ha anche sottolineato le “relazioni molto importanti” della Gran Bretagna con i Paesi del Golfo. Il primo ministro britannico ha affermato che tra gli obiettivi della visita c’è anche l’aumento degli investimenti nell’energia verde del Regno Unito.
Recentemente il gruppo saudita Alfanar, ad esempio, ha annunciato un investimento da un miliardo di sterline per un progetto per la produzione di carburante per l’aviazione dai rifiuti. “Non si tratta solo di guardare a cosa possono fare i Paesi Opec per aumentare l’offerta, anche se questo è importante”, ha detto Johnson ai media britannici, “quando guardiamo alla dipendenza che l’Occidente in particolare ha costruito sugli idrocarburi di Putin, possiamo vedere quale errore sia stato e perché è in grado di ricattare l’Occidente”.
“Il mondo deve liberarsi degli idrocarburi russi e far morire di fame la dipendenza di Putin da petrolio e gas“, ha affermato Johnson, “l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti sono partner internazionali chiave in questo sforzo. Lavoreremo con loro per garantire la sicurezza regionale, sostenere gli sforzi di soccorso umanitario e stabilizzare i mercati energetici globali a lungo termine”.
Giappone
Andando dall’altra parte del mondo le cose non cambiano. Il Giappone ha chiesto recentemente agli Emirati Arabi Uniti di aumentare la produzione di petrolio, il cui prezzo è salito dopo l’invasione dell’Ucraina. Nonostante le richieste dei paesi del G7, l’Opec+, i cui leader sono Russia e Arabia Saudita, sta aumentando l’offerta con il contagocce (400.000 barili al giorno dallo scorso agosto).
Il ministro degli Esteri giapponese Yoshimasa Hayashi ha invitato gli Emirati a “contribuire alla stabilizzazione di un mercato petrolifero globale aumentando la produzione e attingendo alle riserve”.
Stati Uniti
Oltre al Giappone anche gli Stati Uniti si stanno muovendo per trovare fonti alternative. In realtà l’import di idrocarburi (petrolio+gas) russo per Washington vale circa l’8% (3%solo il greggio) pari a 700.000 barili al giorno. Poca roba rispetto alla fortissima dipendenza che ha l’Europa e che per questo non ha imposto la misura.
In ogni caso, anche gli Usa, che sono il primo produttore mondiale di petrolio e gas, stanno riallacciando rapporti con paesi fino a ieri ‘nemici’ come il Venezuela. Già il 6 marzo scorso la Casa Bianca ha inviato una delegazione statunitense per parlare con il governo del presidente Nicolas Maduro.
Da quello che si è appreso al centro della discussione proprio le forniture energetiche. Secondo le prime indiscrezioni il Venezuela potrebbe aumentare la produzione di almeno 400.000 barili al giorno (bpd) da spedire ai ‘nemici’ yankee.