Per la gestione degli spazi e dei servizi comuni, il fabbricato di edilizia residenziale pubblica, autogestito dalla società che lo ha costruito, può comunque richiedere un codice fiscale tramite un terzo nominato dall’assemblea degli assegnatari. Per ottenerlo, infatti, basta un “condominio di gestione” ed è necessario indicare nell’apposito modello la “posizione” dell’immobile.
Così risponde l’Agenzia delle entrate alla società costruttrice e proprietaria del fabbricato, che si è vista negare dall’ufficio territoriale competente l’attribuzione del codice fiscale, per inesistenza di un vero condominio (risposta n. 228 del 28 aprile 2022).
In particolare, la società istante, pur ammettendo che, essendo l’immobile di sua esclusiva proprietà e mancando la comunione di beni necessaria per costituire un condominio, evidenzia tuttavia la necessità di disporre del codice fiscale per consentire agli assegnatari la gestione autonoma degli spazi e servizi comuni. A proprio vantaggio chiama in causa l’articolo 39, comma 1, della legge regionale del Veneto n. 39/2017, secondo cui, tra l’altro, “i Comuni e le ATER, qualora siano unici proprietari dei fabbricati destinati dall’edilizia residenziale pubblica, promuovono l’autogestione da parte dell’utenza dei servizi accessori e degli spazi comuni, anche mediante la nomina di un soggetto terzo”.
Considerata la conclusione raggiunta, in apparenza, l’Agenzia ribalta la decisione del proprio ufficio territoriale, il quale ha argomentato che “nel caso di società di costruzione unica proprietaria dell’edificio del quale non siano state ancora vendute le singole unità immobiliari, il condominio non può dirsi venuto ad esistenza. In tale circostanza il modello AA5/6… in assenza di un verbale di assemblea condominiale correttamente formato, non è validamente sottoscritto ai sensi dell’articolo 4, comma 1 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 605”. Tuttavia nella prima richiesta di attribuzione del codice fiscale, la società non ha specificato che si trattava di fabbricato destinato all’edilizia residenziale pubblica.
Pertanto, nel caso in esame, è necessario dare la precedenza alla richiamata disposizione regionale del Veneto, finalizzata a promuovere l’autogestione dei servizi accessori, delle utenze e degli spazi comuni relativi ai fabbricati destinati all’edilizia residenziale pubblica di esclusiva proprietà dell’impresa costruttrice, anche mediante la nomina di un soggetto terzo, disponendo solo in via residuale la costituzione di un condominio, ove ne sussistano i presupposti e, quindi, in situazioni diverse da quella oggetto d’interpello, in cui manca un titolo di proprietà o di un altro diritto reale in capo a più persone, e, quindi, risultano assenti i presupposti richiesti dall’articolo 1100 del codice civile per l’esistenza di una comunione di beni.
In presenza di spazi e servizi comuni, tuttavia, osserva l’Agenzia, gli assegnatari possono costituire un “condominio di gestione” secondo uno schema ormai consolidato.
A tal proposito richiama due illuminanti sentenze della Cassazione:
- la n. 10310/1991, nella quale ha affermato che il “condominio di gestione” consiste “in una collettività di inquilini autorizzati dall’Ente proprietario a svolgere per proprio conto l’amministrazione ordinaria dell’immobile, deliberando le spese necessarie per l’uso dei servizi comuni e riscuotendo diversamente le quote dei singoli assegnatari, in analogia a quanto avviene nei condomini ordinari. È evidente, peraltro, che la sostanziale differenza tra il condominio di gestione ed un condominio ordinario è costituita dalla circostanza che mentre un’assemblea di condomini può deliberare su qualsiasi argomento previsto dagli articoli 1117 e seguenti del codice civile, un’assemblea di semplici inquilini o assegnatari di alloggi deve limitarsi a provvedere sulla gestione ordinaria e non può disporre innovazioni o modifiche che incidono sull’integrità dell’immobile, del quale essi hanno solamente l’uso in conformità del contratto di locazione”
- la n. 8329/1997, dove ha inoltre precisato che “la particolarità di detto condominio di gestione deriva dal fatto che esso rappresenta una comunione di godimento basata su diritti personali inerenti all’assegnazione dell’alloggio e non sul diritto di proprietà dell’immobile”.
Quindi, l’autogestione è subordinata alla preventiva assegnazione degli alloggi.
Tanto premesso, costituendo la forma giuridica dell’autogestione un “condominio di gestione” degli spazi e dei servizi comuni, pur non potendosi configurare un “condominio ordinario” come previsto dal codice civile, l’Agenzia ritiene che lo stesso possa chiedere comunque l’attribuzione del codice fiscale. In particolare, il terzo nominato dall’assemblea degli assegnatari costituenti il “condominio di gestione” può chiedere l’attribuzione di un codice fiscale necessario per la gestione degli spazi e delle utenze comuni, indicando, nel modello AA 5/6, alla voce “nome”, la posizione del fabbricato e l’esistenza di una “autogestione di cui alla LR Veneto n. 39 del 2017, inserendo il codice 13 “Altre organizzazioni di persone di beni senza personalità giuridica (escluse le comunioni)”.