Validi gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia nei confronti di una società per omessa o tardiva registrazione di autofatture per prestazioni di servizi rese da soggetti comunitari, con il conseguente recupero dell’Iva. Con la sentenza n. 8382/2022 la Suprema corte cassa la pronuncia della Ctr che aveva ritenuto irrilevanti le omissioni e i ritardi nella registrazione delle fatture escludendo il pregiudizio per le azioni di controllo e, inoltre, aveva omesso di valutare se tale ritardo era precedente o successivo alle liquidazioni periodiche delle medesime operazioni se tempestivamente fatturate e, infine aveva erroneamente ritenuto che l’abbandono da parte dell’ufficio della ripresa dell’imposta facesse venir meno delle sanzioni.
Con la pronuncia in commento la Cassazione ribadisce i concetti di violazione sostanziale, formale e meramente formale.
Per individuare una violazione “meramente formale” bisogna avere riguardo sia all’articolo 10, comma 3 della legge n. 212/2000, che all’articolo 6, comma 5-bis del Dlgs n. 472/1997. E’ uno dei principi espressi nella sentenza della Cassazione n. 8283 del 9 novembre 2021, depositata in data 15 marzo 2022. Nella pronuncia in esame i Supremi giudici hanno evidenziato alcuni principi molto importanti in materia di reverse charge e relative sanzioni.
Un ufficio dell’Agenzia delle entrate emetteva nei confronti dei una società tre avvisi di accertamento per gli anni 2002 e 2003 contestando l’omessa o tardiva registrazione di autofatture per prestazioni di servizi rese da soggetti comunitari.
Sul punto è da tenere presente che all’epoca dei fatti era in vigore il precedente regime sulla territorialità dei servizi, poi completamente riscritto dal Dlgs n. 18/2010.
Veniva quindi recuperata l’imposta, nonché comminate le sanzioni di cui agli articoli 5, 6 e 13 del Dlgs n. 471/1997. La società proponeva separati ricorsi contro gli avvisi di accertamento evidenziando che, pur avendo omesso la registrazione delle fatture, aveva comunque effettuato la dovuta integrazione. In ogni caso, la ricorrente riteneva che le irregolarità costituissero solo una violazione meramente formale.
I ricorsi della parte erano accolti dai giudici di Perugia. La sentenza di primo grado era poi confermata dalla Ctr. I giudici regionali, in particolare, motivavano la loro decisione anche basandosi sulla circostanza che l’Ufficio aveva successivamente abbandonato il recupero dell’imposta nonché la sanzione di cui all’articolo 5 del Dlgs n. 471/1997 per infedele dichiarazione.
La sentenza fissa (o ribadisce) alcuni principi, estremamente interessanti, in materia di reverse charge, distinzione tra violazioni formali e sostanziali, nonché sanzioni in materia di autofatturazione.
Il funzionamento ordinario dell’Iva, prevede che il soggetto che effettua l’operazione (cessione o prestazione), addebiti l’Iva al cliente. Quest’ultimo, se soggetto Iva, può poi detrarre l’imposta secondo quanto previsto dagli articoli 19 e seguenti del Dpr n. 633/1972. Sono quindi da tenere presenti non solo i principi di inerenza previsti dall’articolo 19, ma anche le eventuali limitazioni nel caso di pro-rata ex articolo 19-bis ridotto. Sono inoltre rilevanti anche le ipotesi di indetraibilità oggettiva previste dell’articolo 19-bis1.
Nel caso di applicazione del reverse charge, di contro, il soggetto che effettua l’operazione non addebita l’Iva, in quanto gli obblighi gravano sul cliente soggetto passivo. Il cliente – committente o cessionario – deve quindi emettere autofattura (o integrare la fattura ricevuta) e annotarla nel registro delle vendite, al fine di assoggettare l’operazione ad imposta. L’annotazione va poi fatta anche nel registro degli acquisti, al fine di esercitare il diritto di detrazione.
Tale doppia annotazione non costituisce però un puro adempimento contabile, ma assume valore pienamente sostanziale. Ciò in quanto, se sussistono limitazioni alla detrazione per un’ipotesi di indetraibilità soggettiva od oggettiva, per effetto della doppia annotazione il committente o cessionario sarà tenuto al versamento della relativa imposta.
Particolarmente rilevante, sul punto, è la recente sentenza n. 140/2022, con la quale i Supremi giudici hanno stabilito che nel caso di imposta assolta con il reverse charge, al fine di esercitare il diritto di detrazione, è necessario che sia presente il requisito di inerenza.
Ulteriori, importanti concetti, sono quelli di reverse charge “esterno” e “interno”.
Il reverse charge “esterno” è previsto al fine di permettere l’applicazione dell’imposta per le operazioni compiute da soggetti esteri, ma territorialmente rilevanti sul territorio dello Stato.
Il reverse charge “interno”, di contro, è quello utilizzato principalmente a fini antievasivi, con lo spostamento dell’onere di applicazione dell’imposta sul cessionario/committente. In questo modo, in particolare, si riducono fortemente le frodi nelle quali un soggetto A compie operazioni a favore di un soggetto B, con il soggetto B che detrae l’va addebitata da A, ma che non viene versata da quest’ultimo.
Un esauriente riepilogo delle ipotesi di reverse charge “esterno” e “interno” è rappresentato dal quadro VJ della dichiarazione annuale Iva.
In relazione alle violazioni, la pronuncia in commento, anche richiamando precedente giurisprudenza (in particolare, le sentenze n. 16450/2021 e n. 28938/2020) ha dettato le definizioni di violazione sostanziale, formale e meramente formale, per cui:
“- le violazioni sono sostanziali se incidono sulla base imponibile o sull’imposta o sul versamento
– le violazioni sono formali se pregiudicano l’esercizio delle azioni di controllo pur non incidendo sulla base imponibile, sull’imposta o sul versamento
– le violazioni sono meramente formali se non influiscono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo, né arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo”.
In particolare, per individuare se una data violazione risulta formale o sostanziale “é necessario accertare in concreto, con valutazione in fatto riservata al giudice di merito, se la condotta abbia cagionato un danno erariale, incidendo sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta o del versamento del tributo” (pronuncia in commento che richiama anche la sentenza 16450/2021); la valutazione va quindi fatta ex post.
Diversi sono invece i criteri per distinguere tra violazione formale e meramente formale. La pronuncia in commento evidenzia che bisogna considerare il combinato disposto dell’articolo 10, comma 3 della legge n. 212/2000 e dell’articolo 6, comma 5-bis del Dlgs n. 472/1997.
In particolare, mentre il primo definisce come violazione formale quella che non causa alcun debito d’imposta, l’articolo 6, comma 5-bis “ha circoscritto la portata della norma dello statuto del contribuente là dove […] ha stabilito che l’esclusione della punibilità sia limitata alle violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle attività di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo” (pronuncia in commento. Si veda anche la sentenza n.14767/2015).
E’ stato quindi stabilito che per distinguere tra violazione formale e meramente formale, deve essere effettuato un giudizio ex ante sulla base dell’astratta possibilità della violazione a determinare un ostacolo alle attività di controllo. Resta ferma, ovviamente, la primaria condizione che la violazione non deve aver inciso sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo (oltre alla pronuncia in commento si veda anche la sentenza 28938/2020).
Nella pronuncia in commento, viene evidenziato, in primo luogo, che la ratio del regime sanzionatorio previsto dall’articolo 6, commi da 9-bis a 9-ter “è quella di prevenire la violazione della procedura di inversione contabile, sì da evitare un evidente pregiudizio all’esercizio delle attività di controllo anche quando l’inosservanza degli adempimenti non abbia in concreto inciso sui versamenti – e sulla regolarità degli stessi – e sulla determinazione dell’imponibile”.
Viene inoltre messo l’accento sul fatto che, in linea generale, la particolare procedura del reverse charge non determina un omesso versamento d’imposta. In ogni caso, è possibile che “l’arco della violazione possa anche investire un effettivo omesso versamento”.
Quanto detto può avvenire ad esempio, nel caso vi sia l’applicazione di un pro-rata di detrazione ridotto o nell’ipotesi in cui l’autofattura si riferisca ad un bene o servizio oggettivamente non detraibile. Resta comunque ferma l’indetraibilità nel caso di “non inerenza” del bene o del servizio, che comunque attiene ad un’ipotesi più patologica che fisiologica.
Peraltro, nel momento in cui vi è un ritardo negli obblighi di autofatturazione, bisogna verificare se questo ha comportato uno spostamento nell’imputazione dell’imposta in una data successiva a quella di effettuazione della liquidazione periodica.
Se quindi l’autofatturazione, anche se in ritardo, è intervenuta prima dell’effettuazione della liquidazione periodica, non può aversi alcun debito d’imposta, anche nel caso in cui si determini un’ipotesi di indetraibilità, parziale o totale. Ciò in quanto l’imposta dovuta è comunque confluita nella liquidazione periodica corretta dal punto di vista temporale.
Se invece l’autofatturazione è intervenuta successivamente alla liquidazione periodica, è necessario verificare se il ritardo ha comportato anche un omesso versamento.
In ogni caso, nell’ipotesi in cui si contesti la violazione di omesso versamento ex articolo 13 del Dlgs n. 471/1997 è necessario tenere conto del principio comunitario di proporzionalità, in base al quale le “sanzioni non devono eccedere quanto necessario al fine di garantire l’esatta riscossione dell’imposta e di evitare la frode” (sentenza relativa alla causa C-564/15 paragrafo 60, richiamata anche nella pronuncia in commento).
In particolare, è stato stabilito che risulta rispettosa del suddetto criterio l’applicazione di una sanzione pari al 25 per cento nel caso di regolarizzazione di un’indebita detrazione entro un mese dal termine originario (sentenza Corte di giustizia relativa alla causa C-259/12 punto 40). La medesima pronuncia ha inoltre previsto che il criterio di proporzionalità è rispettato anche nel caso in cui la sanzione sia pari al 100% dell’imposta per una regolarizzazione avvenuta dopo oltre un mese dal termine originario. Sempre con la stessa sentenza è stato inoltre stabilito che “Al fine di valutare se una sanzione sia conforme al principio di proporzionalità, occorre tener conto, in particolare, della natura e della gravità dell’infrazione che detta sanzione mira a penalizzare, nonché delle modalità di determinazione dell’importo della sanzione stessa” (punto 38).
Ulteriore criterio comunitario evidenziato dalla pronuncia in commento è quello della sentenza relativa alla causa C-564/15, concernente l’ipotesi in cui a un’operazione da assoggettare ad imposta mediante inversione contabile è stata invece applicata l’Iva in maniera ordinaria da parte del cedente. La sentenza unionale ha stabilito che in questo caso non è rispettosa del principio di proporzionalità una situazione in cui “le autorità tributarie nazionali irroghino a un soggetto passivo, che ha acquistato un bene alla cui cessione si applica il regime dell’inversione contabile, una sanzione tributaria pari al 50% dell’importo dell’IVA che egli è tenuto a versare all’amministrazione tributaria, qualora quest’ultima non abbia subito alcuna perdita di gettito e non sussistano indizi di frode fiscale” (punto 67).
E’ comunque da rammentare – come evidenziato anche dalla sentenza n. 16450/2021, che un’espressione del principio comunitario di proporzionalità è presente nell’articolo 7, comma 4 del Dlgs n. 472/1997, il quale stabilisce che “Qualora concorrano circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa può essere ridotta fino alla metà del minimo”.
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