E’ stata depositata il 12 aprile 2022, l’ordinanza con cui la Consulta ha deciso di sollevare, disponendone la trattazione innanzi a sé, questioni di legittimità costituzionale del quarto periodo dell’art. 13, comma 2, del Decreto-legge n. 201/2011, in tema di esenzione dall’imposta municipale unica (IMU).
La norma in esame è stata censurata nella parte in cui, ai fini del riconoscimento della relativa agevolazione, definisce quale abitazione principale quella in cui si realizza la contestuale sussistenza del duplice requisito della residenza anagrafica e della dimora abituale non solo del possessore, ma anche del suo nucleo familiare.
La decisione di autorimessione era stata anticipata con comunicato dell’Ufficio stampa della Corte del 24 marzo, emanato all’esito della Camera di consiglio tenuta in pari data.
Nell’ordinanza depositata il 12 aprile – n. 94/2022 – sono illustrate le motivazioni alla base delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte, questioni ritenute pregiudiziali e strumentali rispetto a quella da cui le stesse hanno tratto spunto, vale a dire il dubbio sollevato dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli con cui si chiedeva di dichiarare incostituzionale solo la disposizione che – secondo l’interpretazione data dalla Cassazione – esclude per entrambi i coniugi o i partner dell’unione civile l’esenzione dall’IMU per l’abitazione principale, qualora uno di essi abbia la residenza anagrafica in un immobile ubicato in un altro Comune.
Secondo la Corte costituzionale – si legge, sul punto, nel testo dell’ordinanza – le questioni sollevate dal giudice rimettente “sono strettamente connesse alla più ampia e pregiudiziale questione derivante dalla regola generale stabilita dal quarto periodo del medesimo art. 13, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, che, ai fini del riconoscimento della suddetta agevolazione, definisce quale abitazione principale quella in cui si realizza la contestuale sussistenza del duplice requisito della residenza anagrafica e della dimora abituale non solo del possessore ma anche del suo nucleo familiare”.
La Corte ha quindi focalizzato la disamina sul nesso con il nucleo familiare, non presente nella originaria disciplina dell’IMU, sottolineando come la relativa e successiva previsione, ai fini della definizione di abitazione principale, abbia determinato un diverso trattamento del nucleo familiare rispetto non solo alle persone singole ma anche alle coppie di mero fatto.
Difatti, fino a quando il rapporto non si stabilizza nel matrimonio o nell’unione civile, la struttura della norma consente a ognuno dei partner di accedere all’esenzione per la rispettiva abitazione principale.
Apparirebbe, ciò posto, non manifestamente infondata la questione pregiudiziale sulla indicata regola generale, in relazione agli artt. 3, 31 e 53, primo comma, della Carta costituzionale.
Viene evidenziato, infatti, come possa dubitarsi dell’esistenza di un ragionevole motivo di differenziazione tra la situazione dei possessori degli immobili in quanto tali e quella dei possessori degli stessi in riferimento al nucleo familiare, “quando, come spesso accade nell’attuale contesto, effettive esigenze comportino la fissazione di differenti residenze anagrafiche e dimore abituali da parte dei relativi componenti del nucleo familiare”.
In dubbio, in riferimento al principio di capacità contributiva, anche la maggiore capacità contributiva del nucleo familiare rispetto alle persone singole, tra l’altro in relazione a un’imposta di tipo reale quale l’IMU.
La Consulta, sul punto, ha richiamato una sua precedente pronuncia (n. 179/1976) nel cui testo aveva precisato che “non è dimostrato né dimostrabile, anche per la grande varietà delle possibili ipotesi e delle situazioni concrete (caratterizzate tra l’altro, dalla esistenza dei figli), che in ogni caso” per effetto del matrimonio “si abbia un aumento della capacità contributiva dei due soggetti insieme considerati”.
Senza contare che la disciplina in oggetto non sembrerebbe agevolare, con misure economiche e altre provvidenze, la formazione della famiglia e l’adempimento dei relativi compiti, comportando, anzi, per i nuclei familiari, un trattamento peggiore rispetto a quello delle persone singole e delle convivenze di mero fatto.
In definitiva, la Corte costituzionale ha ritenuto di non potersi esimere dal risolvere pregiudizialmente le “autosollevate” questioni di legittimità.
A tal fine, ha sospeso il giudizio de quo “fino alla definizione delle questioni di legittimità costituzionale di cui sopra”, ordinando che la cancelleria provveda agli adempimenti di legge.
by Liberato Ferrara Area Imprese Network
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