Nell’ipotesi in cui il contribuente titolare di un Cud abbia omesso di presentare la dichiarazione dei redditi, pur essendo obbligato a farlo per aver prodotto anche altri redditi rispetto a quello di lavoro dipendente certificato, l’amministrazione finanziaria potrà esercitare il potere di accertamento entro il termine decadenziale lungo previsto dall’articolo 43, comma 2, del Dpr n. 600/1973. Ciò, in quanto la presentazione del Cud, rilasciato dal sostituto, e del modello 770 non assolvono l’obbligo dichiarativo in capo al contribuente. Sono questi i principi desumibili dall’ordinanza n. 37149 del 29 novembre 2021 della Corte di cassazione che, seppur emessa nell’ambito di un procedimento relativo all’accertamento della residenza fiscale in Italia di un contribuente non residente, assume una valenza generale.
La controversia riguarda un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle entrate a un professionista che, dichiaratosi fiscalmente residente all’estero, aveva omesso la presentazione della dichiarazione dei redditi per il periodo d’imposta 2005. L’ufficio aveva, pertanto, notificato l’avviso di accertamento usufruendo del termine lungo previsto dall’articolo 43, comma 2, del Dpr n. 600/1973 che, nella versione vigente ratione temporis, fissava il termine decadenziale per l’esercizio del potere di accertamento al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione.
Il ricorso proposto dal contribuente era stato accolto dai giudici della Ctp, che hanno dichiarato l’annullamento dell’atto impositivo perché notificato oltre il termine quadriennale previsto al comma 1 del citato articolo 43, il quale attiene all’ipotesi di dichiarazione presentata. A parere del collegio di primo grado, l’obbligo dichiarativo del contribuente doveva ritenersi assolto per il periodo d’imposta accertato, avendo egli prodotto i certificati Cud e il modello 770 del sostituto d’imposta che aveva erogato i compensi assoggettati a ritenuta.
Il giudizio è stato ribaltato in sede di appello, dove i giudici della Ctr hanno accolto le doglianze dell’Agenzia delle entrate e, partendo dal presupposto dell’omessa presentazione della dichiarazione, hanno dichiarato la validità dell’avviso di accertamento, perché notificato entro il termine decadenziale previsto dal secondo comma dell’articolo 43, ossia entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.
Avverso tale decisione il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, per quanto di interesse, violazione dell’articolo 42 del Dpr n. 600/1973, avendo la Ctr erroneamente applicato il secondo comma dell’articolo 43, che disciplina il caso dell’omessa dichiarazione dei redditi. Secondo la ricostruzione del ricorrente, invece, la dichiarazione non poteva considerarsi omessa avendo questi prodotto all’amministrazione finanziaria le certificazioni Cud, che documentavano i redditi del periodo d’imposta accertato. Di conseguenza, il contribuente lamentava che al caso si sarebbe dovuto applicare il minor termine decadenziale di cui al primo comma dell’articolo 43. Avendo l’ufficio notificato l’avviso di accertamento oltre tale termine, l’atto doveva ritenersi invalido.
I giudici di Cassazione hanno ritenuto infondato il motivo del contribuente e rigettato il ricorso.
In via preliminare, va precisato, che nel procedimento in questione l’Agenzia delle entrate aveva determinato la residenza fiscale in Italia di un soggetto “esteroresidente”, sulla base di una serie di presunzioni semplici dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
L’ufficio accertatore aveva valorizzato a tal fine, oltre ai rapporti intercorsi in Italia tra il contribuente e alcuni suoi familiari, una serie di altri indici attestanti la permanenza stabile dello stesso nel territorio dello Stato quali, a titolo esemplificativo, il contratto lavorativo stipulato con una società residente e la numerosità dei prelievi effettuati con carta di credito presso esercenti italiani.
Di conseguenza, essendo il contribuente residente fiscale in Italia ai sensi dell’articolo 2, comma 2 del Tuir, ed avendo constatato l’omessa presentazione della dichiarazione per l’anno controllato, l’ufficio aveva proceduto all’accertamento dei redditi e alla notifica dell’atto impositivo entro il termine di decadenza quinquennale previsto dall’allora vigente articolo 43, comma 2 del Dpr n. 600/1973.
Con il ricorso, il contribuente, oltre a contestare nel merito la determinazione della residenza fiscale in Italia, ha messo in discussione la legittimità dell’avviso di accertamento perché notificato oltre i termini previsti in caso di accertamento in rettifica ex articolo 43, comma 1.
In altri termini il soggetto, pur ammettendo di non aver presentato la dichiarazione dei redditi, ha sostenuto la tesi per cui l’obbligo avrebbe dovuto essere considerato comunque assolto perché i redditi accertati erano stati documentati dai Cud. In particolare, il sostituto d’imposta, considerando il soggetto non residente, aveva applicato sui redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30% ai sensi dell’articolo 24, comma 1-bis del Dpr n. 600/1973.
Il ricorrente ha ancorato le sue ragioni al disposto di cui all’articolo 1, comma 4 del Dpr n. 600/1973, che esonera dall’obbligo di presentazione della dichiarazione le persone fisiche (non obbligate alla tenuta delle scritture contabili) “che possiedono soltanto redditi esenti e redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta”.
A parere dei giudici di cassazione, che sul punto hanno avallato il giudicato della Ctr, tale ragionamento è infondato, perché erroneo è il presupposto su cui si fonda, ossia il possesso di soli redditi soggetti a ritenuta a titolo d’imposta, che avrebbero esonerato il contribuente dall’obbligo dichiarativo, trovando così applicazione il primo comma dell’articolo 43.
Nel caso concreto, infatti, se il percettore del reddito avesse dichiarato al sostituto d’imposta di essere residente in Italia, la ritenuta sui compensi sarebbe stata a titolo di acconto e non di imposta. Pertanto, l’inesattezza compiuta dal sostituto, da addebitare alle erronee informazioni fornite dal lavoratore, avrebbe reso necessaria la presentazione della dichiarazione, al fine di assoggettare il reddito complessivo all’imposta in misura progressiva. Senza contare il fatto che il contribuente avrebbe potuto percepire redditi ulteriori rispetto a quelli certificati dal sostituto d’imposta con la conseguente inapplicabilità della norma richiamata in giudizio.
In calce al ragionamento, la Corte di cassazione ha affermato il principio per cui un contribuente, seppur titolare di un Cud, è obbligato alla presentazione della dichiarazione se ha prodotto redditi ulteriori rispetto a quelli da lavoro dipendente certificati. Da qui la conclusione che, in caso di omissione, l’amministrazione finanziaria potrà esercitare il potere di accertamento entro il termine decadenziale lungo che, per gli avvisi di accertamento relativi al periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2016 (e successivi), coincide con il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.
Le conclusioni del Collegio di legittimità sono perfettamente conformi alla posizione espressa dall’Agenzia delle entrate nella circolare n. 10/2014. In questa sede l’amministrazione finanziaria ha, infatti, precisato che, nell’ipotesi in cui il contribuente titolare di un Cud abbia omesso di presentare la dichiarazione dei redditi, pur essendo obbligato per aver prodotto anche altri redditi rispetto a quello di lavoro dipendente certificato, la decadenza dal potere di accertamento non potrà che aversi, essendo stata omessa la dichiarazione dovuta, secondo il termine indicato nell’articolo 43, comma 2, del Dpr n. 600/1973.
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