Per essere incluse fra le immobilizzazioni immateriali, le licenze d’uso devono possedere le stesse caratteristiche del brevetto, ovvero la titolarità di un diritto esclusivo di sfruttamento e la recuperabilità dei costi iscritti tramite benefici economici che si svilupperanno dall’applicazione del brevetto stesso, non essendo ammessi benefici solo indirettamente collegati. Legittimo quindi il recupero della quota di ammortamento del bene.
Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza 36391 del 24 novembre 2021, con cui ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate.
La società contribuente aveva concluso un accordo con una compagine irlandese, in base al quale quest’ultima aveva assegnato alla prima una licenza esclusiva per l’uso di proprietà intellettuale – riguardante l’installazione in Italia di impianti per riscaldamento di serre a uso agricolo – dietro pagamento di un compenso (fee) di 5 milioni di euro, con diritto di sub-licenza a favore di società controllate o partecipate, a fronte del pagamento di un ulteriore compenso di 5 milioni di euro per ogni utilizzo della licenza, in distretti serricoli ubicati in Italia.
L’Agenzia delle entrate disconosceva la deducibilità delle quote di ammortamento, ritenendo che per le licenze d’uso mancassero i requisiti previsti dall’Oic 24 in tema di diritti di brevetto, per la loro inclusione tra le immobilizzazioni immateriali.
La Ctr Puglia riteneva sussistenti tutti i requisiti richiesti dal predetto principio contabile, rilevando un rapporto sinallagmatico fra sostenimento del costo e reintegro dello stesso attraverso i ricavi, non solo con riferimento al costo sostenuto per l’acquisizione della titolarità del diritto esclusivo di sfruttamento della licenza d’uso in Italia, come riconosciuto dall’ufficio, ma anche con riguardo al costo di 15 milioni di euro sostenuto per l’utilizzo delle tre sub-licenze d’uso in favore delle tre società operative controllate. Ciò, perché i suddetti costi avevano consentito alla società verificata di poter sottoscrivere un accordo “quadro” con altra società, avente durata decennale, che riconosceva in suo favore il diritto alla riscossione di un corrispettivo di 20 milioni di euro, nonché ulteriori benefici.
Con il successivo ricorso in Cassazione, l’Agenzia delle entrate denunciava violazione e falsa applicazione degli articoli 103 e 109 del Tuir, del principio contabile Oic e Cndc n. 24 e dell’articolo 2359 cc. Secondo la ricorrente, le licenze di derivazione privatistica, quali le licenze d’uso di brevetti e marchi, devono essere iscritte nella stessa voce dell’attivo che accoglie il diritto principale (ossia alla voce B.I.3 dell’attivo) e i relativi costi possono essere capitalizzati e iscritti nell’attivo, purché ricorrano le seguenti condizioni:
a) titolarità di un diritto esclusivo di sfruttamento
b) recuperabilità dei costi iscritti tramite benefici economici derivanti dall’applicazione del brevetto, sia in termini di maggiori ricavi, sia in termini di riduzione di costi connessi a un determinato processo produttivo
c) possibilità di determinare in maniera attendibile il costo per l’impresa.
Pertanto, la decisione della Ctr si poneva in contrasto con tale previsione, in quanto la gestione delle serre, e, quindi, il diritto a fruire dei benefici del brevetto, faceva capo alle tre società operative. Prescindendo dal costo sostenuto per l’acquisizione della titolarità del diritto esclusivo di sfruttamento del brevetto in Italia, secondo la ricorrente, non poteva ritenersi certamente inerente la contabilizzazione della differenza, pari a 15 milioni di euro. Infatti erano state le società operative ad aver fruito dei benefici diretti rinvenienti dall’applicazione del brevetto, consistenti in un risparmio sul costo dell’energia impiegata per il riscaldamento delle serre; la correlazione tra le società operative e la contribuente era solo indiretta, in quanto la verificata deteneva una partecipazione (pari al 3%) nel capitale di una Srl che, a sua volta, controllava la holding, per cui detta partecipazione non poteva dar luogo a controllo o collegamento, diretto o indiretto, nei termini richiesti dall’articolo 2359 del codice civile.
Nell’accogliere il ricorso dell’Agenzia, la Cassazione precisa che, con specifico riferimento alle licenze d’uso su brevetti, il principio contabile Oic 24 prevede che queste “sono da indicare nella classe che accoglie il diritto principale” e, per quanto riguarda l’iscrivibilità e il trattamento contabile dei costi relativi alle licenze d’uso sui singoli beni e diritti immateriali, si può fare riferimento al capitolo “Diritti di brevetto industriale e diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno”. Di conseguenza, per essere incluse fra le immobilizzazioni immateriali, le licenze d’uso devono possedere le stesse caratteristiche previste per i diritti di brevetto e, segnatamente, la titolarità di un diritto esclusivo di sfruttamento, la recuperabilità dei costi iscritti tramite benefici economici che si svilupperanno dall’applicazione del brevetto stesso, nonché la possibilità di determinare in maniera attendibile il costo per l’impresa.
Nel caso in esame, la società, non avendo direttamente gestito i complessi che utilizzavano la tecnologia oggetto della licenza, non ha potuto fruire dei benefici discendenti dallo sfruttamento delle sub-licenze d’uso. Gli effetti economici derivanti dall’utilizzo della tecnologia, oggetto del brevetto, dunque, non sono stati conseguiti dalla società verificata, cosicché manca la correlazione tra costi e benefici economici futuri, che è necessaria ai fini dell’iscrizione del costo nell’attivo del bilancio alla voce “immobilizzazioni immateriali” e ai fini della deducibilità delle relative quote di ammortamento. Il requisito della recuperabilità dei costi iscritti tramite benefici economici, presuppone, infatti, che tali benefici si atteggino come effetti diretti dell’applicazione della licenza di brevetto e siano, quindi, strettamente correlati a un determinato processo produttivo, caratterizzato dall’effettivo sfruttamento della licenza, in funzione direttamente strumentale all’esercizio dell’impresa.
Tale presupposto non può dirsi sussistente, come ritenuto dalla Ctr, per il fatto che l’acquisto in via esclusiva della titolarità del diritto allo sfruttamento della licenza ha consentito alla contribuente di concludere il successivo accordo con altra società dal quale ha conseguito il diritto alla riscossione di un corrispettivo di 20 milioni di euro, in quanto non si tratta di benefici strettamente correlati a un determinato processo produttivo caratterizzato dall’effettivo sfruttamento della licenza, in funzione direttamente strumentale all’esercizio dell’impresa.
Poiché, dunque, gli effetti economici derivanti dall’utilizzo della tecnologia oggetto del brevetto non hanno interessato la società, il costo contabilizzato non poteva essere iscritto tra le immobilizzazioni immateriali.
by Liberato Ferrara Area Imprese Network
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