L’articolo 168 della direttiva Iva deve essere interpretato nel senso che l’Iva non può ritenersi tecnicamente dovuta o versata, e quindi non è detraibile, se l’operatore e il fornitore hanno erroneamente (anche in ragione di una normativa e di una prassi interne difformi dal diritto dell’Ue) trattato l’operazione come “esente” e successivamente non vi sia stata un’integrazione dell’imposta. Il principio è affermato nella sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea resa in causa C-156/20, depositata oggi, 13 gennaio 2022, che, pur trattando una situazione peculiare, e nonostante l’esito fosse per certi versi prevedibile, tocca diversi profili fondamentali del sistema comune dell’Iva.
La vicenda alla base del procedimento principale e il quesito del giudice inglese
La società inglese Zipvit Ltd., attiva nel commercio di vitamine e integratori minerali per corrispondenza, strinse con la Royal Mail, per il periodo 2006/2010, un accordo individuale per una serie di servizi postali commerciali di spedizione. Il prezzo fu pattuito senza considerare l’Iva, con una clausola che obbligava il cliente a pagare l’imposta, sull’affrancatura e sulle altre spese, secondo “l’aliquota appropriata” qualora l’imposta fosse risultata dovuta.
Conformandosi sia alla legislazione domestica, che a indicazioni di prassi della Her Majesty’s Revenue & Customs (di seguito, Hmrc), Royal Mail aveva considerato le operazioni esenti e le aveva fatturate come tali, e pertanto Zipvit aveva versato soltanto le somme indicate nelle fatture.
A seguito della sentenza della Corte di Giustizia TNT Post UK, C-357/07 (commentata anche in su FiscoOggi, vedi articolo “Servizi postali, sì all’esonero Iva ma a condizioni e prezzi standard”), con la quale si è stabilito che l’esenzione per i servizi postali riguarda il solo servizio postale universale, e non anche le prestazioni o cessioni di beni accessori le cui condizioni siano state negoziate individualmente, nel 2009 e 2010 la società Zipvit ha richiesto il rimborso dell’Iva all’Amministrazione Finanziaria inglese, dato che la prestazioni svolte non avrebbero dovuto essere considerate esenti.
Dato che l’Iva, come accennato, non le era stata mai addebitata, Zipvit ha suggerito di individuare l’imposta detraibile mediante un procedimento di scorporo, considerandola cioè già inclusa nel compenso versato alla Royal Mail (dati un compenso totale di Gbp 120 e un’aliquota del 20%, l’Iva sarebbe stata pari a Gbp 20 e le business expenses pari a 100).
Sennonché da un lato l’Hmrc, nel rispetto della normativa interna non conforme al diritto Ue e tenuto conto del legittimo affidamento derivante dalla propria prassi, aveva omesso di emettere avvisi di accertamento nei confronti di Royal Mail per l’Iva non addebitata al cliente; dall’altro lato Royal Mail, ritenendo troppo onerosa sul piano amministrativo un’azione di rivalsa “postuma”, vi aveva rinunciato.
La peculiarità del caso, come sottolinea l’Avvocato Generale J. Kokott nelle conclusioni dell’8 luglio 2021, risiede nel fatto che, nella normalità dei casi, qualora vi sia un errore sull’aliquota applicabile, l’impresa fornitrice aumenta il prezzo in ragione dell’importo dell’IVA corrispondente ed emette fattura; il committente o cessionario versa quanto gli è richiesto e neutralizza l’onere aggiuntivo attraverso la detrazione.
I giudici di primo e di secondo grado hanno sostenuto che, sebbene i servizi sarebbero dovuti essere assoggettati a Iva, la fattura era stata emessa come “Iva esente”, con la conseguenza che l’imposta non era dovuta, né era stata assolta. Pertanto, riconoscere la detrazione a beneficio di Zipvit, come se la società l’avesse effettivamente versata, avrebbe significato attribuirle un “guadagno immeritato”, riconoscendo in suo favore una riduzione del prezzo pagato per i servizi.
La Corte Suprema ha invece ritenuto necessario l’intervento della Corte di Giustizia, alla quale ha sottoposto le seguenti questioni:
– se, nelle condizioni sin qui descritte (errore di interpretazione della normativa Iva, contratto “al netto” dell’Iva, assenza di rivendicazione dell’Iva da parte del fornitore e di contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria), la direttiva 2006/112/Ce comporti che il prezzo effettivamente pagato è l’insieme di un importo netto imponibile più l’Iva applicabile a detto importo;
– se, in tali circostanze, l’operatore commerciale possa rivendicare la detrazione dell’imposta a monte, ai sensi dell’articolo 168, lettera a) della direttiva, come Iva “dovuta” in relazione a tale prestazione;
– se, in presenza del comune errore di interpretazione, l’operatore abbia il diritto di chiedere la detrazione dell’imposta assolta a monte pur non essendo in possesso di una fattura con indicazione dell’Iva.
È stato inoltre chiesto, ai fini della risposta ai quesiti, di chiarire il ruolo del legittimo affidamento (riposto nella norma interna difforme o nella prassi) contro il tentativo di emettere un avviso di accertamento, e se sia pertinente, ai fini della soluzione del caso, che l’operatore non si sia offerto di pagare l’Iva dovuta in modo da poterla trasferire all’autorità fiscale.
Nelle sue approfondite conclusioni, l’avvocato generale ha affermato, in estrema sintesi, che:
– ai fini della detrazione, è indispensabile il possesso di una regolare fattura, nella quale figuri l’importo dell’Iva trasferito, perché tale requisito è volto ad attuare il principio di neutralità;
– la detrazione è ipotizzabile solamente a condizione che il destinatario sia gravato dell’Iva, il che avviene per effetto del versamento del corrispettivo;
– l’accordo delle parti per un adeguamento del contratto e l’inclusione dell’IVA deve risultare da una fattura;
– per Iva “dovuta o assolta” di cui all’articolo 168 lett. a) della direttiva si intende l’Iva dovuta o assolta dal soggetto che fornisce la prestazione al proprio Stato membro (effettivo creditore dell’Iva);
-anche se (sentenza Corina-Hrisi Tulic?, cause riunite C-249/12 e C-250/12) nella pattuizione di un corrispettivo senza menzione dell’Iva deve ritenersi inclusa l’Iva qualora non vi sia possibilità di recupero presso il committente, la mera possibilità di operare la rettifica non comporta che il destinatario disponga effettivamente dell’importo rettificato;
– con la nozione di “Iva dovuta o assolta” si intende l’imposta dovuta dal prestatore in astratto, già compresa nel prezzo versato, ma ciò diventa di rilevanza pratica per il destinatario solo qualora riceva una fattura con l’esposizione dell’Iva comprovante il trasferimento dell’imposta a suo carico.
La sentenza in commento (trattasi, si apprende dal §26 delle conclusioni, di una causa “pilota”) ha confermato l’impostazione dell’avvocato generale, a sua volta fondata su una consolidata giurisprudenza che ritiene indispensabile, ai fini dell’esercizio del diritto a detrazione, il possesso di una regolare fattura.
La Corte ha ritenuto non applicabili al caso di specie i principi di cui alla sentenza Corina-Hrisi Tulic?, su cui la ricorrente inglese fondava la sua pretesa. Il contratto non poteva essere considerato “Iva inclusa”, come si sarebbe potuto ritenere in ipotesi di silenzio assoluto delle parti sul punto, atteso che, al contrario, si era esplicitamente previsto che il prezzo della prestazione fosse al netto dell’Iva e che, se l’Iva fosse risultata comunque dovuta, Zipvit avrebbe dovuto sostenerne il costo.
La Royal Mail non era nell’impossibilità “di diritto” di recuperare l’imposta erroneamente non fatturata, così come l’Amministrazione aveva scelto, pur essendo ancora pendenti i termini di prescrizione, di non muovere contestazioni nei confronti della fornitrice. Da tutto ciò deriva che Zipvit non poteva pretendere di detrarre un importo non fatturatole, e che non ha traslato sul consumatore finale.
Ritenendo irrilevanti ai fini della decisione gli aspetti legati allo stato soggettivo (il legittimo affidamento e l’eventuale conoscenza dell’applicabilità dell’Iva alla prestazione pattuita), la Corte di giustizia ha enunciato il seguente principio: “L’articolo 168, lettera a), della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che l’imposta sul valore aggiunto (IVA) non può essere considerata dovuta o assolta, ai sensi di tale disposizione, e non è dunque detraibile dal soggetto passivo qualora, da un lato, quest’ultimo e il suo prestatore abbiano erroneamente ritenuto, sulla base di un’interpretazione errata del diritto dell’Unione da parte delle autorità nazionali, che le prestazioni di cui trattasi fossero esenti da IVA e che, di conseguenza, le fatture emesse non la menzionassero, in un contesto in cui il contratto stipulato tra tali due soggetti prevede che, se detta imposta fosse dovuta, il beneficiario della prestazione dovrebbe sostenerne il costo, e qualora, dall’altro, non sia stata intrapresa in tempo utile alcuna iniziativa diretta al recupero dell’IVA, cosicché qualsiasi azione del prestatore e dell’amministrazione finanziaria e doganale volta al recupero dell’IVA omessa è prescritta”.
Data della sentenza: 13 gennaio 2022
Numero della causa: C-156/20
Nome delle parti: Zipvit Ltd contro Commissioners for Her Majesty’s Revenue & Customs (Regno Unito)
by Liberato Ferrara Area Imprese Network
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