Le operazioni di chirurgia estetica godono dell’esenzione dell’Iva solo se realizzate con lo scopo di alleviare sofferenze psicologiche del paziente affetto da handicap o malattie o siano conseguenza di traumi. L’onere di provare che la finalità delle prestazioni è diretta alla diagnosi, cura o guarigione di malattie o patologie, incombe in maniera esclusiva e diretta sul sanitario che effettua le operazioni. Questo il principio ribadito dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 27947 del 13 ottobre 2021.
L’antefatto processuale che ha condotto all’emissione dell’ordinanza qui in commento prende le mosse dal ricorso in Cassazione proposto dall’Agenzia delle entrate avverso una sentenza della Ctr Umbria nell’ambito di un contenzioso avente ad oggetto un avviso di accertamento per Iva relativa all’anno d’imposta 2015.
In particolare, il presupposto dell’atto impositivo era basato sul mancato riconoscimento dell’esenzione per attività medico-legali e per operazioni di chirurgia estetica.
La Ctr aveva parzialmente accolto l’appello dell’ufficio riformando la pronuncia di primo grado della Ctp di Terni e confermando, al contempo, l’assunto in base al quale l’Amministrazione finanziaria fosse onerata dell’obbligo di provare la sussistenza dei requisiti che avevano, poi, determinato il disconoscimento dell’esenzione Iva sugli interventi di medicina estetica.
L’Agenzia delle entrate, come anticipato, ha impugnato la decisione dei giudici di secondo grado con un unico motivo, lamentando la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 10, numero 18, del Dpr n.633 del 1972 e dell’articolo 2697 cc laddove la Ctr umbra aveva erroneamente ritenuto che l’ufficio dovesse concretamente comprovare la qualità e gli scopi delle prestazioni sanitarie rese dal controricorrente nell’ambito della propria attività medica.
La Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha accolto il motivo e ritenuto fondate le motivazioni ad esso sottese, cassando con rinvio la pronuncia di merito dei giudici di secondo grado.
Gli Ermellini, in via preliminare, richiamano la circolare dell’Agenzia delle entrate n.4/2005 in base alla quale “le prestazioni mediche di chirurgia estetica sono esenti da IVA in quanto sono ontologicamente connesse al benessere psico-fisico del soggetto che riceve la prestazione e quindi alla tutela della salute della persona”.
Proseguendo nell’analisi della fattispecie controversa, la Cassazione richiama la costante giurisprudenza di legittimità in base alla quale, in tema di Iva, l’obbligo di provare la fondatezza dei presupposti oggettivi e soggettivi utili al fine dell’esenzione di cui all’articolo 10, numero 18, del Dpr n.633 del 1972 (prestazione mediche e paramediche) incombe sul contribuente.
Con la conseguenza che, nell’ipotesi di mancato assolvimento di detto onere, i corrispettivi accertati devono essere riconducibili ad operazioni imponibili (cfr, Cassazione nn.28946/2008; 17656/2014; 13138/2015; 25440/2018).
Parimenti, i trattamenti di natura puramente estetica, effettuati da personale infermieristico soggetto alla vigilanza delle norme di cui al testo unico sulle leggi sanitarie, perdono l’esenzione qualora non abbiano quel contenuto sostanziale di prestazione sanitaria propria (cfr. Cassazione nn.21272/2005; 15740/2013; 19178/2019).
Sul tema è intervenuta anche la Corte di giustizia dell’Unione europea (Sentenza 21 marzo 2013 causa C-91/12) la quale, in estrema sintesi, ha stabilito che il sistema comune d’imposta sul valore aggiunto va inteso nel senso che:
a) le prestazioni di servizi rientranti nella categoria degli interventi o dei trattamenti estetici si definiscono, a tutti gli effetti, quali “cure mediche” o di “prestazioni mediche”;
b) le ipotesi in cui dette prestazioni siano effettuate da personale specializzato appartenente all’area medica o da un professionista abilitato a tale fine, risultano atte a determinarne il contenuto medico o paramedico.
Ai fini di una compiuta valutazione se siffatte prestazioni possano godere dell’esenzione dall’Iva occorre tenere in debito conto di tutte le circostanze, oggettive e soggettive, appena citate.
Pertanto, i giudici comunitari sono giunti alla conclusione che le “operazioni di chirurgia estetica” ovvero i “trattamenti di carattere estetico”, qualora abbiano lo scopo di alleviare sofferenze psicologiche causate da traumi, handicap o malattie le quali richiedono un intervento di natura estetica, possono rientrare nel novero di “cure mediche” o di “prestazioni mediche”. Di contro, qualora dette prestazioni hanno finalità puramente cosmetiche, devono ritenersi escluse da qualsiasi nozione di carattere medico.
Traslando detti principi al caso di specie, la Cassazione ha ribadito che l’onere di provare che la finalità delle prestazioni di chirurgia estetica sia diretta alla diagnosi, la cura ovvero la guarigione di malattie o patologie di salute delle persone, incombe in maniera esclusiva e diretta sul sanitario che pone in essere le correlate operazioni.
Nella fattispecie in esame, pertanto, la Ctr umbra ha mal applicato tali assunti sostenendo – all’esito di una personalistica lettura della citata circolare n.4/E del 2005 dell’Agenzia delle entrate – una inopinata inversione dell’onere della prova a carico dell’ufficio e dando per assodato lo scopo terapeutico dell’operazione di chirurgia estetica contestata.
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