Pubblicato sulla GU n. 269 dell’11 novembre 2021, e già in vigore, il Dl 157/2021 adottato dal Governo per contrastare i comportamenti fraudolenti nell’utilizzo dei benefici fiscali per i lavori in casa (ascolta “Superecobonus edilizio: primo bilancio dell’Agenzia”). Il provvedimento detta disposizioni finalizzate a garantire il corretto impiego, nella dichiarazione dei redditi ovvero tramite cessione del credito/sconto in fattura, di alcune agevolazioni per interventi sul patrimonio immobiliare. Oltre all’ampliamento dell’obbligo del visto di conformità, è prevista, per alcuni beni, la fissazione di valori massimi cui far riferimento per attestare la congruità delle spese ed è introdotto un meccanismo di controllo preventivo per consentire all’Agenzia delle entrate il preventivo controllo della correttezza delle operazioni.
Intervenendo sugli articoli 119 (“Incentivi per l’efficienza energetica, sisma bonus, fotovoltaico e colonnine di ricarica di veicoli elettrici”) e 121 (“Opzione per la cessione o per lo sconto in luogo delle detrazioni fiscali”) del Dl n. 34/2020 (decreto “Rilancio”), viene notevolmente ampliato l’obbligo di richiedere il visto di conformità dei dati relativi alla documentazione attestante la sussistenza dei presupposti che danno diritto al beneficio.
Il visto – ricordiamo – deve essere rilasciato dal responsabile di un Centro di assistenza fiscale ovvero da uno dei soggetti indicati alle lettere a) e b) del comma 3, articolo 3 del Dlgs n. 241/1997 (iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali, dei consulenti del lavoro; iscritti nel registro dei revisori legali; iscritti al 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la sub-categoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o diploma di ragioneria).
L’adempimento è ora necessario anche quando la detrazione del 110% (“Superbonus”) è sfruttata dall’avente diritto nella propria dichiarazione dei redditi, a meno che questa non sia presentata direttamente dal contribuente utilizzando la precompilata predisposta dall’Agenzia delle entrate ovvero tramite il sostituto d’imposta, in quanto, in tali ipotesi, l’amministrazione finanziaria può già effettuare controlli preventivi (in precedenza, il visto era richiesto solo quando, anziché operare la detrazione, si optava per la cessione del credito o per lo sconto in fattura; e quando si esercita l’opzione per la cessione del credito o per lo sconto in fattura in riferimento alle altre detrazioni fiscali per lavori edilizi – recupero del patrimonio edilizio, efficienza energetica, adozione di misure antisismiche, recupero o restauro della facciata degli edifici esistenti, installazione di impianti fotovoltaici, installazione di colonnine per la ricarica dei veicoli elettrici – diversi da quelli che danno diritto allo sconto del 110% (fino a oggi, il visto era necessario soltanto per l’opzione in ambito superbonus).
Inoltre, per evitare meccanismi fraudolenti perpetrati tramite l’aumento ingiustificato degli importi fatturati, i professionisti che attestano la congruità delle spese sostenute in relazione agli interventi agevolati dovranno far riferimento anche ai valori massimi che saranno stabiliti, per talune categorie di beni, da un decreto del ministro per la Transizione ecologica, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto “Anti-frodi”.
Con l’inserimento di un nuovo articolo 122-bis nel già ricordato decreto “Rilancio”, viene introdotta una procedura di controllo preventivo, la cui concreta attuazione (criteri, modalità e termini) è demandata a uno o più provvedimenti dell’Agenzia delle entrate. L’intervento riguarda i casi in cui chi ha diritto alla detrazione opta per lo sconto in fattura o per la cessione del bonus: in tali circostanze, è richiesto che il beneficiario dell’agevolazione comunichi telematicamente all’Agenzia delle entrate l’avvenuta cessione del credito e che il cessionario ne confermi l’accettazione tramite l’apposita piattaforma (vedi manuale); invio della comunicazione e la relativa accettazione sono previsti anche per le eventuali successive cessioni.
Il decreto “Anti-frodi” stabilisce che l’Agenzia delle entrate può sospendere fino a trenta giorni gli effetti delle comunicazioni delle cessioni (anche quelle successive alla prima) e delle opzioni che presentano “profili di rischio”; questi vanno individuati utilizzando criteri relativi alla diversa tipologia di crediti ceduti e riferiti, ad esempio, alla coerenza e alla regolarità dei dati indicati con quelli presenti nell’Anagrafe tributaria oppure ad analoghe cessioni effettuate in precedenza dagli stessi soggetti. Tutto ciò per consentire il controllo preventivo, da parte del Fisco, della correttezza delle operazioni: se sono confermati i rischi di frode che hanno determinato la sospensione, la comunicazione si considera non effettuata e tale circostanza è comunicata in via telematica a chi l’ha trasmessa; in caso contrario, ovvero decorsi trenta giorni dalla presentazione, la comunicazione produce gli effetti previsti dalla norma di riferimento, cioè l’efficacia della cessione o dello sconto.
Inoltre, gli intermediari bancari e finanziari (articolo 3, Dlgs n. 231/2007) che intervengono nelle cessioni non dovranno procedere all’acquisizione dei crediti, se ricorrono i presupposti di operazioni sospette per le quali sussistono gli obblighi di segnalazione all’Unità di informazione finanziaria (articoli 35 e 42, Dlgs n. 231/2007), quali, ad esempio, l’eventuale natura fittizia dei crediti, la presenza di cessionari che pagano con capitali di possibile origine illecita, lo svolgimento abusivo di attività finanziaria da parte di soggetti non autorizzati che effettuano plurime operazioni di acquisto di crediti da un’amplia platea di cedenti.
Per lo svolgimento delle attività di controllo, l’Agenzia delle entrate potrà avvalersi dei poteri istruttori previsti in materia di imposte dirette (articolo 31 e seguenti, Dpr n. 600/1973) e di Iva (articolo 51 e seguenti, Dpr n. 633/1972) e, per il recupero degli importi dovuti (comprensivi di sanzioni e interessi), procedere con un atto di recupero (articolo 1, commi 421 e 422, legge n. 311/2004), da notificare, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione. L’ufficio di riferimento è quello competente in base al domicilio fiscale del contribuente (articoli 58 e 59, Dpr n. 600/1973) al momento della commissione della violazione; in mancanza di domicilio fiscale, l’attribuzione andrà ad altra struttura individuata con provvedimento direttoriale.
L’atto di recupero è autonomamente impugnabile innanzi alle Commissioni tributarie.
Per l’immatricolazione di veicoli provenienti da Stati extra-Ue l’importatore deve presentare all’ufficio provinciale della motorizzazione civile la certificazione doganale che attesta l’assolvimento dell’Iva o l’utilizzazione della dichiarazione d’intento. È quanto precisa l’Agenzia delle entrate con la risposta n. 778 del 12 novembre 2021, che fa il punto sulle diverse modalità di effettuazione dei versamenti e di documentazione da presentare per i beni di provenienza unionale e per quelli di provenienza estera, finalizzate a identificare, tramite la rilevazione delle informazioni di identificazione del veicolo, rispettivamente sul modello di pagamento F24 e sulla bolletta o sul certificato doganale, la corrispondenza univoca tra l’imposta e il veicolo cui la stessa si riferisce.
Il chiarimento è chiesto da una società che svolge attività di commercio all’ingrosso, di importazione di mezzi di trasporto nuovi e usati e di parti di ricambio. In particolare, il quesito riguarda la corretta modalità di assolvimento dell’Iva da parte dell’istante ai fini dell’immatricolazione per la circolazione dei beni importati e, quindi, di provenienza extra-Ue, in Italia.
Secondo la Motorizzazione civile l’istante dovrebbe effettuare il versamento dell’Iva tramite “F24 immatricolazione auto UE”.
La società ritiene, invece, che le modalità di assolvimento dell’imposta siano diverse per vetture di provenienza intracomunitaria o non comunitaria. Nello specifico, sostiene che:
– per l’immatricolazione di veicoli oggetto di acquisto intracomunitario, l’Iva debba essere versata tramite “F24 immatricolazione auto UE” recante il numero di telaio e l’ammontare dell’imposta assolta in occasione della prima cessione interna;
– per l’immatricolazione di veicoli importati, debba invece essere prodotta la certificazione doganale attestante l’assolvimento dell’imposta o l’utilizzazione della dichiarazione d’intento.
La contribuente chiede quale sia il comportamento corretto precisando che il caso oggetto dell’interpello è “incidentalmente connesso” all’applicazione della disciplina dei depositi Iva (articolo 50-bis del Dl n. 331/1993) e al fatto che i veicoli commercializzati possano essere sia nuovi che usati.
L’Agenzia concorda con l’istante e, fornendo il consueto quadro normativo, ricorda, che, a proposito dell’importazione dei mezzi di trasporto oggetto dell’interpello, l’articolo 1 comma 10, del Dl n. 262/2006 recita che la loro immatricolazione “è subordinata alla presentazione della certificazione doganale attestante l’assolvimento dell’IVA e contenente il riferimento all’eventuale utilizzazione, da parte dell’importatore, della facoltà prevista dall’articolo 8, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26ottobre 1972, n. 633, nei limiti ivi stabiliti”.
Le Entrate confermano che la documentazione da produrre a dimostrazione dell’assolvimento degli adempimenti Iva è differenziata per i beni acquistati all’interno o all’esterno dell’Unione europea. In particolare, la presentazione del modello F24 con elementi identificativi (“F24 immatricolazione auto UE”) in relazione all’Iva assolta sulla prima cessione interna del bene, è prevista esclusivamente per gli acquisti intracomunitari di veicoli nuovi o usati (risoluzione n. 344/2008).
Diversa è la procedura per l’immatricolazione di veicoli di provenienza extra-Ue. In tal caso, è la documentazione doganale da considerare idonea alla univoca identificazione del veicolo e dell’Iva assolta al momento della sua importazione. I dati da presentare consistono nella bolletta doganale oppure, se questa è unica per più automezzi, il certificato doganale in bollo da dove risultino corrisposti i diritti di confine e, se indicati, fabbrica e tipo di veicolo, numero di telaio, stato d’uso, estremi della bolletta doganale e categoria del veicolo.
Inoltre, nella suddetta documentazione, è possibile indicare l’esercizio della facoltà di importare senza applicazione dell’Iva prevista per gli esportatori abituali (articolo8, comma 2, decreto Iva).
Il fine, sia per le operazioni unionale che extra-Ue, è assicurare la corrispondenza univoca tra l’imposta versata e il bene a cui si riferisce.
Riguardo all’altra questione menzionata dalla società relativa all’applicazione della disciplina dei depositi Iva, l’Agenzia chiarisce, parlando sempre di beni importati, che la documentazione necessaria per l’immatricolazione prevede informazioni relative all’immissione in libera pratica senza applicazione dell’Iva, all’identificazione del veicolo, alle attività di introduzione nel deposito, alle eventuali cessioni avvenute all’interno del deposito, correlata univocamente alla documentazione idonea a provare il corretto adempimento delle operazione relative all’estrazione.
Il documento di prassi ricorda, dettagliatamente, quali sono le operazioni, che secondo la disciplina dei depositi Iva possono essere effettuate senza il pagamento dell’Iva (articolo 50-bis, Dl n. 331/1993). Precisa poi che il versamento dell’imposta, in caso di estrazione dai depositi di beni importati, può essere effettuato secondo meccanismo del reverse charge solo nell’ipotesi di presentazione di valida garanzia come detta la legge e nei casi previsti con decreto ministeriale
In mancanza di tali condizioni l’imposta è dovuta dal soggetto che procede all’estrazione ed è versata in nome e per conto di questo dal gestore del deposito tramite modello F24, secondo le modalità e le regole previste dal comma 6 dell’articolo 50-bis del Dl n. 331/1993.
In definitiva, in base a tale norma, in caso di immatricolazione successiva all’estrazione la documentazione da produrre dovrà attestare l’avvenuto versamento dell’Iva con F24 Elide ovvero dovrà contenere, oltre alla autofattura o alla fattura integrata, la documentazione relativa all’estrazione, che attesti la produzione della garanzia richiesta per l’applicazione dell’imposta secondo le modalità previste dall’articolo 17, secondo comma, del decreto Iva.
L’Agenzia conclude precisando che la disciplina descritta è valida sia per i veicoli nuovi che usati, mentre non va applicata per gli acquisti intracomunitari e le importazioni di autoveicoli, motoveicoli e loro rimorchi nuovi provenienti direttamente dalle case costruttrici e destinati al mercato nazionale, provvisti di codice di antifalsificazione.
by Liberato Ferrara Area Imprese Network
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