Quando la contestazione del Fisco poggia su elementi oggettivi che disconoscono il contenuto della fattura emessa dal cedente, l’onere di comprovare la compresenza degli elementi richiesti dalla norma ai fini della corretta applicazione del regime del “margine” incombe sul contribuente-cessionario. Lo ha ribadito la Cassazione con l’ordinanza n. 25448/2021.
La pronuncia in commento prende spunto dal ricorso in Cassazione presentato dall’Agenzia delle entrate avverso la decisione della Ctr del Lazio – sezione staccata di Latina – con la quale era stato respinto l’appello erariale, a sua volta proposto al fine di impugnare la sentenza della Ctp di Latina, che aveva accolto il ricorso di un contribuente contro un avviso d’accertamento Iva per l’anno 2003.
Tale ultimo atto impositivo si fondava sulle risultanze di un Pvc con il quale era stata contestata l’applicazione del “regime del margine” nell’ambito di attività di importazione di autoveicoli usati provenienti dalla Germania.
I giudici di primo grado avevano avallato le ragioni private ritenendo trascurabile l’assenza, nei documenti contabili, di una peculiare indicazione di adozione del citato regime ai fini Iva; e, con riferimento al contenuto della direttiva comunitaria n. 97/5/Ce del 14 febbraio 1994, hanno condiviso la sua qualificazione quale “diritto fondamentale comune negli scambi tra i Paesi della comunità”.
Impostazioni confermate anche dal giudice di secondo grado, il quale ha concluso affermando che i riscontri posti a base dei recuperi dell’ufficio non fossero suffragati da elementi persuasivi e/o effettivi.
L’amministrazione ha affidato il ricorso di legittimità a due motivi di censura incentrati sulla denuncia di violazione e falsa applicazione dell’articolo 36 del decreto legge n. 41/1995 nonché del combinato disposto degli articoli 2697 e 2797 cc in relazione all’articolo 360, comma primo, n. 3) cpc.
I giudici di legittimità, con l’ordinanza n. 25448 del 21 settembre scorso, esaminando congiuntamente le due eccezioni sollevate dall’ufficio, le hanno ritenute pienamente fondate e condivisibili cassando con rinvio la sentenza impugnata.
Ai sensi del richiamato articolo 36 del Dl n. 41/1995 e del diritto Ue (cfr articoli 311-325, direttiva 2006/112/Ce), l’applicabilità del regime del margine, sotto il profilo soggettivo, richiede che l’operazione sia effettuata da un consumatore privato ovvero da soggetto:
– che non abbia potuto detrarre l’Iva o abbia operato nel proprio Stato in regime di franchigia;
– che abbia, a sua volta, assoggettato la relativa cessione al regime del margine.
Finalità precipua di tale regime è quella di evitare la doppia imposizione e, soprattutto, effetti distorsivi di concorrenza tra soggetti passivi.
Ed è per tale ragione, sottolinea la Cassazione, che i settori dei beni d’occasione, degli oggetti d’arte, da collezione o di antiquariato sono stati interessati dalla normativa in esame (cfr articolo 36, comma 1, Dl n. 41/1995 a mente del quale: “Per il commercio di beni mobili usati, suscettibili di reimpiego nello stato originario o previa riparazione, nonché degli oggetti d’arte, degli oggetti d’antiquariato e da collezione, indicati nella tabella allegata al presente decreto, acquistati presso privati nel territorio dello Stato o in quello di altro Stato membro dell’Unione europea, l’imposta relativa alla rivendita è commisurata alla differenza tra il prezzo dovuto dal cessionario del bene e quello relativo all’acquisto, aumentato delle spese di riparazione e di quelle accessorie. Si considerano acquistati da privati anche i beni per i quali il cedente non ha potuto detrarre l’imposta afferente l’acquisto o l’importazione, nonché i beni ceduti da soggetto passivo d’imposta comunitario in regime di franchigia nel proprio Stato membro e i beni ceduti da soggetto passivo d’imposta che abbia assoggettato l’operazione al regime del presente comma”) la quale, pertanto, prevede che il regime d’imposizione del (solo) margine di utile, realizzato nell’ambito di una transazione commerciale, debba essere inteso quale regime speciale, opzionale e, soprattutto, derogatorio di quello generale di cui alla direttiva Ue n. 112 del 2006.
Pertanto, l’interpretazione dei tratti caratteristici del regime “del margine” deve essere connotata da elementi di intransigenza e restrittività (cfr Corte di giustizia 8 dicembre 2005 causa C-280/04; 3 marzo 2011 causa C-203/10; 19 luglio 2012 causa C-160/11 e, nella giurisprudenza nazionale, Cassazione sentenze nn. 20089/2014, 24604/2014, 25755/2015, 15630/2015, 26069/2015 e 11086/2016).
Trattandosi, quindi, di regime “speciale” riguardante gli acquisti intracomunitari, incombe sul contribuente l’onere di provare, a fronte di uno specifico rilievo dell’ufficio, l’esistenza dei presupposti, in fatto e in diritto, che ne permettono la concreta adozione.
In particolare, ogni qualvolta la contestazione erariale poggi su elementi oggettivi che disconoscano il contenuto della fattura emessa dal cedente, l’onere di comprovare la compresenza degli elementi richiesti dalla norma ai fini della corretta applicazione del regime derogatorio incombe sul contribuente-cessionario.
Costui, in sostanza, adottando i normali criteri dell’ordinaria diligenza maturati nel contesto della propria attività professionale – quale operatore commerciale – può, anzi deve effettuare un controllo preventivo sulla base dei documenti negoziali in suo possesso (cfr Cassazione, sentenze nn. 15219/2012, 8828/2012, 17232/2013 e 658/2014).
Su tale ultimo aspetto probatorio, i giudici di legittimità hanno richiamato la pronuncia di Cassazione a sezioni unite. n. 21105/2017, con la quale è stato chiarito che nell’ambito dei doveri di “precauzione”, che un cessionario di auto d’occasione deve esercitare, rientra senz’altro l’esame “storico” del veicolo avuto riguardo, ad esempio:
– alla ricerca di precedenti intestatari del mezzo risultanti dalla carta di circolazione;
– alla natura e la qualità di tali soggetti la cui analisi, rimarca la Cassazione, non richiede l’esercizio di attività investigative esorbitanti il tradizionale ambito professionale e commerciale interessato.
In definitiva, tale analisi deve, o dovrebbe, condurre alla agevole individuazione di coloro che abbiano potuto lecitamente esercitare il diritto alla detrazione Iva con due risultati del tutto contrapposti:
– in caso di esito negativo è ragionevole ritenere che il bene sia giunto al consumo finale con conseguente applicazione del regime “del margine”;
– nell’ipotesi contraria, appare evidente ritenere rilevante il regime ordinario qualora il soggetto cedente svolga, in maniera abituale e non occasionale, l’attività di rivendita, noleggio o leasing.
Nella vicenda in esame, quindi, la Ctr ha errato nel considerare tout court applicabile il regime “del margine” quale diritto fondamentale comune negli scambi tra Paesi della comunità in assenza di una qualsivoglia forma di concreto riscontro circa la sussistenza del requisito dell’indeducibilità Iva versata “a monte” dall’operatore cedente comunitario (soggetto passivo d’imposta) in occasione dell’acquisto di un cespite poi rivenduto ad altro soggetto-cessionario di un Paese membro. Pertanto, l’avviso di accertamento, originariamente impugnato, aveva correttamente evidenziato che i veicoli ceduti dall’esportatore tedesco non potevano essere soggetti al regime “del margine”, in quanto già oggetto di precedenti cessioni intracomunitarie, assoggettabili a Iva.
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