Durante questo periodo di sosta forzata abbiamo avuto modo di meditare oltre quanto normalmente ci capita. Era chiaro che l’”influenza” del coronavirus ci avrebbe costretto ad approfondire valutazioni di “vita” più che “professionali” non più prorogabili.
In realtà certi pensieri hanno iniziato a balenarmi e persistere in mente da qualche tempo. Il covid ha solo “agevolato” il radicamento di idee gia’ mature: sono grato al mio lavoro che mi ha “costruito” e consolidato prima come uomo poi come professionista. Personalmente ed economicamente. Col senno di poi ringraziando, una volta di più di quanto abbia fatto e faccia ancora, il mio dominus del quale, a distanza di quasi vent’anni dalla morte, conservo nitidi gli insegnamenti (e come me tanti altri praticanti di allora oggi professionisti).
Oggi sono convinto ancor di più che non possa esistere attività riuscita senza passione, sacrificio senza entusiasmo ma certo non basta più. Siamo figli dei nostri tempi e la necessità di ottenere dati in maniera tempestiva, sintetizzare gli aggiornamenti professionali e renderli operatività, velocizzare i metodi formativi costituiscono imprescindibile esigenza. Pensare di gestire la tecnologia a sessantanni con la stessa padronanza di un trentenne è pura follia.
È vero viceversa che un “consapevole” utilizzo dello strumento informatico fa, oggi, il 90% del lavoro. Ma, se non fosse per il valore intrinseco del restante 10%, rischierebbe di vanificarsi in un flop. Allora ricordo, con nostalgia, i semplici dettami del maestro: impegno e rispetto per tutti, clienti, collaboratori e chi opera negli uffici pubblici. Senza saccenza ma con personalità perché la professione è come la vita. Bisogna saper avere a che fare con tutti per poter offrire una visione complessiva ad ognuno, per quanto si tratti di questione tecnica.
Era l’arte del mio dominus. Ne ho visti pochi di quel livello.
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