Sovente si discute circa gli inutile e deleteri effetti di adempimenti fiscali meramente formali che nulla apportano alle casse statali ma, ed è questo il peggio, esasperano il contribuente in modo ingiustificato. Benché frutto di una precisa e legittima volontà dell’amministrazione di acquisire dati utili ad approfondire le capacità reddituali dei contribuenti, i metodi ed i rimedi studiati sono risultati inefficaci e talvolta addirittura dannosi, tanto da causare fenomenali eclatanti come il “740 lunare” o le “cartelle pazze” che hanno messo in difficoltà gli stessi funzionari degli uffici giudiziari. In tempi più recenti si è tentato di invertire la tendenza a tale sistema cercando soluzioni più “politiche” che sostanziali tipo lo “statuto del contribuente”, un mite regime sanzionatorio o le nuove norme sulla riscossione. Gli stessi studi di settore applicabili ai redditi di impresa, pur se convenuti tra le parti, non possono che rappresentare un’ulteriore prova dell’impossibilità da parte del fisco di attuare controlli seri e scrupolosi sulle realtà aziendali aggrappandosi a soglie minime basate su statistiche opinabili, e che comunque non valgono per tutti, facendo venir meno il principio cardine della gestione imprenditoriale, cioè il rischio di guadagnare, ma anche di perdere. I timidi vantaggi conseguenti al cambiamento di rotta cozzano di fatto con una certa ferraginosità delle procedure, ed è paradossale che in questo momento così favorevole, si debba soggiacere ad iter burocratici lentissimi che scoraggiano ogni sforzo. In questo clima è verosimilmente difficile operare per chi verifica ed anche per chi è verificato; l’auspicio è l’avvio di un vero processo di semplificazione idoneo a garantire maggiore funzionalità e speditezza senza sacrificare la pretesa tributaria.
Domenico Bocchetti
IL PUNTO “MAGGIO 1999”
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